Dangerous Encounters Of The First Kind

di Tsui Hark (Hong Kong, 1980)

“Dangerous Encounters Of The First Kind” è un lungometraggio capace di mettere in circolo delle sensazioni probabilmente uniche all’interno del movimento cinematografico di Hong Kong. Non a caso Tsui Hark è partito da molto lontano, da quella new wave senza la quale non si sarebbe potuta sviluppare una scuola tra le più acclamate e celebrate d’oriente. Ma non è tutto, poiché raramente da quelle parti un film era riuscito a creare scompiglio in maniera così controversa: ricordiamo infatti che “Dangerous Encounters Of The First Kind” fu drasticamente censurato dalle autorità britanniche che all’epoca governavano Hong Kong, alla luce di una carica anarchico-sovversiva che implicava dei non trascurabili riferimenti politici. La pellicola fu quindi rimessa in circolazione più tardi (fu utilizzato il titolo alternativo “Don’t Play With Fire”), alleggerita dai suoi contenuti ambigui che tanto avevano fatto incazzare quei burocrati.
Se nella versione originale i tre adolescenti protagonisti compiono degli attentati veri e propri nei luoghi pubblici (una chiara allusione alle rivolte di Hong Kong del 1967), il film che conosciamo noi cambia l’obiettivo ma non la sostanza, poiché questi tre balordi continuano a fare danni in giro ma con una valenza ben diversa: le loro bombe artigianali passano addirittura in secondo piano quando entra in gioco la figura di Pearl, una ragazza psicopatica che comincia a manipolare questi giovani a suo piacimento, trascinando gli eventi fino alle più estreme conseguenze.
Opera a dir poco inclassificabile, “Dangerous Encounters Of The First Kind” è roba da far accapponare la pelle: un topolino infilzato con un chiodo, un gatto lanciato da una finestra e lasciato marcire appeso a un palo, questo è un cinema completamente privo di sensibilità nei confronti dell’ignaro spettatore (anche se è impossibile negare la forza prorompente di queste immagini, i cui significati trasudano nichilismo a profusione). Una pellicola dunque disperata, dove il nemico è chiunque, dallo straniero incontrato per strada (la vera svolta del film) alla stessa metropoli di Hong Kong, una gabbia priva di opportunità per questi ragazzi. Inoltre è difficile dimenticare quel finale cult ambientato all’interno di un cimitero disseminato da una fila sterminata di lapidi, un luogo dove la follia esplode insieme alla violenza più incontrollata mettendoci completamente con le spalle al muro (la colonna sonora, presa in prestito da “Zombi” di Romero, si rivela più che adeguata).
Eccolo il cinema estremo senza compromessi, quello che scivola via tra sangue, sadismo e orrori di vario tipo, portando alla luce quel modello di politicamente scorretto oggi impossibile da proporre a un pubblico generalista. “Dangerous Encounters Of The First Kind” è considerato a ragione un caposaldo dell’intera scuola di Hong Kong (la brillante carriera del regista/produttore Tsui Hark è un dato di fatto), perché è un film che esprime tutta la rabbia condivisa di un popolo represso attraverso delle situazioni sempre più annichilenti, ricoperte da una coltre di inestirpabile pessimismo (i tempi cambiano ma la speranza sembra essere davvero morta da quelle parti, chiedere a Fruit Chan e al suo capolavoro “Made In Hong Kong” del 1997). Cinema nero come la pece.

(Paolo Chemnitz)

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