
di Rémy Belvaux, André Bonzel e Benoît Poelvoorde (Belgio, 1992)
“Il Cameraman e L’Assassino” è il titolo didascalico con cui in Italia conosciamo questo “C’Est Arrivé Près De Chez Vous”, un geniale mockumentary belga la cui denominazione internazionale è “Man Bites Dog”. Premiato nel 1992 a Sitges e in altre rassegne non meno importanti, questo lungometraggio è stato diretto da ben tre registi: di André Bonzel sappiamo poco o nulla, Rémy Belvaux morì suicida nel 2006, mentre Benoît Poelvoorde (qui anche nei panni del protagonista) ha raccolto negli anni un discreto successo come attore.
La bizzarra trama di questo falso documentario segue la vita quotidiana di un serial killer, il quale con estrema nonchalance racconta alla troupe che lo riprende tutti i segreti del suo mestiere (come scegliere le vittime oppure come disfarsi dei corpi nella maniera più opportuna). L’uomo non è affatto un povero disadattato, egli infatti è colto, logorroico e lascia filtrare uno spessore intellettuale non indifferente, considerando i suoi continui discorsi filosofici più o meno comprensibili. Ben è talmente convincente che a un certo punto anche chi sta documentando le sue gesta si lascia trascinare dal suo carisma, identificandosi con lui e contribuendo alle sue azioni criminali. In poche parole, in questo film accade proprio di tutto.
Questo è cinema politicamente scorretto al 100%, tra scenette a dir poco agghiaccianti (l’infarto della povera vecchietta è una delle tante) e dialoghi intrisi di un cinico black humour che non risparmia proprio nessuno (“once I buried two arabs in a wall over there, facing Mecca, of course!”). La cattiveria dell’assassino viene quindi attenuata da un mood generale molto spassoso, dopotutto un’opera del genere non è poi così distante dalla commedia nera più infame e grottesca, a tratti persino di matrice pulp (Quentin Tarantino è un fan dichiarato della pellicola).
La scelta del bianco e nero si rivela azzeccata: in questo modo l’opera acquista in realismo, pur dilungandosi oltremisura per via di un plot abbastanza ridondante. A tal proposito, non è difficile toccare con mano l’ambizione dei tre registi, un triplo salto mortale tuttavia da premiare senza remore, proprio alla luce della loro capacità di smarcarsi con disinvoltura dagli stereotipi classici del cinema sui serial killer (qui completamente ribaltato come un calzino). Ridendo e scherzando (e ammazzando!), l’approfondimento psicologico del sadico Ben ci permette davvero di ragionare in maniera più ampia, illuminandoci su quanto possano essere stati scaltri e intelligenti alcuni criminali vissuti realmente nel corso della storia moderna e contemporanea. “Il Cameraman e L’Assassino” è dunque un film duro, estremo, folle ma allo stesso tempo incredibilmente delizioso, aggettivi che qui si completano a vicenda in maniera a dir poco originale.

(Paolo Chemnitz)
