Manhunter

di Michael Mann (Stati Uniti, 1986)

Hannibal Lecktor prima di Hannibal Lecter. Eppure “Il Silenzio Degli Innocenti” (1991) lo conosce anche il panettiere sotto casa mia, al contrario di “Manhunter”, un thriller sottostimato rimasto fin troppo in ombra al cospetto di altri titoli più celebrati (persino “Red Dragon”, il remake del 2002, ha ricevuto una maggiore considerazione da parte del pubblico). Lo stile compassato di Michael Mann non piace a tutti e di certo non abbiamo alcuna intenzione di fare dei paragoni tra due scuole cinematografiche differenti, questa retrospettiva però vuole rendere giustizia a un lungometraggio davvero eccelso, anche per via del suo approccio innovativo al genere.
Will Graham (William Petersen) è un agente dell’FBI non più operativo, tempo prima infatti Hannibal Lecktor (memorabili le apparizioni di Brian Cox) lo aveva aggredito lasciandogli dei profondi traumi psicofisici: Graham però viene richiamato in servizio, il suo apporto può essere determinante per mettere le mani su un pericoloso serial killer che ha già sterminato due famiglie durante le notti di luna piena (“have you ever seen blood in the moonlight, Will? It appears quite black”). Si viene dunque a creare un triangolo malsano tra i vari protagonisti, perché se da un lato l’agente si fa aiutare da Lecktor (ormai rinchiuso in prigione) per tracciare il profilo del sadico criminale, allo stesso tempo la sua famiglia viene messa in allarme poiché qualcuno ha avvisato lo psicopatico delle mosse di Graham.

Basato sul celebre libro di Thomas Harris intitolato proprio “Red Dragon”, “Manhunter – Frammenti Di Un Omicidio” (questa la denominazione italiana) è un thriller investigativo ricco di approfondimenti psicologici, non a caso la figura di Will Graham non è quella del semplice poliziotto spavaldo e dal carattere brillante: qui il protagonista è un individuo turbato esattamente quanto i suoi interlocutori principali (il rapporto con Hannibal Lecktor è magistralmente giocato sulla dialettica e sulla psicologia di entrambi). Poi c’è l’immedesimazione, una simbiosi mentale in cui le intuizioni di Graham rincorrono le mosse del serial killer, altro personaggio problematico del quale facciamo conoscenza senza ricorrere a chissà quale mistero sulla sua identità. Anche in questo caso, lo sguardo del regista si sofferma sulla fragile personalità dello psicopatico e sul legame (gestito in maniera impeccabile) tra lui e una ragazza cieca che lavora nel suo laboratorio. Specchi, frammenti, occhi che vedono e altri che non vedono, l’indagine di “Manhunter” a un certo punto diventa un’esperienza emotiva e sensoriale, un percorso più unico che raro nel genere thriller degli anni ottanta.
La magnifica e onnipresente colonna sonora ci conduce per mano attraverso degli spazi urbani freddi e poco consolanti, dove il bianco e il blu predominano sugli altri colori. Ogni tessera del mosaico è al posto giusto, Michael Mann dirige per due ore con elegante maestria, fino a consegnarci un secco epilogo ad altissima tensione (le note degli Iron Butterfly possono solo accompagnare). “Manhunter” è tutto questo e molto altro, un prodotto di grande spessore che possiamo inserire senza dubbio tra le vette assolute del regista americano.

(Paolo Chemnitz)

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One thought on “Manhunter

  1. Ciao paolo,devo dire che pur amando alla follia il silenzio degli innocenti ho sempre preferito questo capolavoro assoluto di mann. Bella recensione. Cosa ne pensi di scream? Per me è un capolavoro all’altezza di nightmare. Continua così.

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