Melancholia

di Lars Von Trier (Danimarca/Svezia/Francia/Germania, 2011)

In un periodo storico di pandemie e di incertezze globali, la vita per i fobici e per gli ipocondriaci non deve essere affatto semplice: chiedere a Lars Von Trier, un personaggio sui generis anche per via delle sue costanti paure quotidiane. Inoltre il regista danese ha sofferto di depressione per lungo tempo, ma questo è un altro discorso, non a caso proprio dalla sua esperienza personale si è sviluppato il concetto che ruota attorno a “Melancholia”, un film che dietro la sua facciata apocalittica e catastrofica nasconde in realtà una profonda analisi psicologica (del regista stesso).
La pellicola è divisa in due parti ben distinte. La prima è incentrata sul matrimonio di Justine, interpretata da una brava Kirsten Dunst: una cerimonia che per lei si rivela angosciante, la donna infatti soffre di disturbi depressivi che la rendono caratterialmente instabile e distaccata anche dal marito. Se inizialmente la location, le riprese con la camera a mano e il raduno di parenti e familiari possono riportare in mente “Festen” (1998) del collega Thomas Vinterberg, lontano da questa lussuosa villa sta per accadere un evento disastroso capace di cambiare completamente volto al film. Atterriamo così nella seconda metà dell’opera, dove accanto alla già scossa Justine entra in gioco la sorella Claire (una sempre superba Charlotte Gainsbourg), lei invece ossessionata dall’imminente collisione di un pianeta chiamato Melancholia, ormai in procinto di schiantarsi contro la Terra distruggendone ogni forma di vita (“life is only on Earth. And not for long”).
Justine e Claire sono due figure complementari, le quali attendono la tragedia con stati d’animo differenti: tutto questo ci riporta allo studio psicanalitico di cui sopra, probabilmente già testato dal regista stesso durante i suoi momenti più difficili. Chi affonda tutti i giorni nella catastrofe esistenziale o negli abissi della disperazione, sicuramente riesce a gestire meglio una situazione di pericolo (la mente è più lucida e razionale quando il pensiero della morte ci scivola accanto nel quotidiano). Al contrario, Claire (le cui reazioni incarnano quelle della maggior parte degli esseri umani) entra nel panico, si tormenta e viene risucchiata dalla più ansiogena delle attese.
Davanti a un evento irreversibile, la rassegnazione diventa inevitabile e questo lo sa bene anche Lars Von Trier, il cui script ci permette di penetrare fin dentro il suo personaggio di uomo vulnerabile (ma allo stesso tempo integro e perspicace nel suo atteggiamento nei confronti della vita). Tuttavia “Melanchonia” è anche grande cinema, soprattutto per via di quell’incipit in slow motion da pelle d’oca e grazie a un finale tra i più potenti visti durante lo scorso decennio. Il voto complessivo tiene comunque in considerazione una prima parte da quattro stelle e una seconda fase che invece viaggia a pieno regime, poiché baciata da una rara intensità drammatica. In poche parole, due ore abbondanti di introspezione, di indagine psicologica, di allegorie e di tragiche citazioni (il mito di Ofelia), per un’esperienza che rasenta il sublime.

(Paolo Chemnitz)

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...