
di James Cullen Bressack (Stati Uniti, 2012)
Non è stato semplice negli ultimi tempi realizzare dei titoli legati al filone home invasion diversi (e originali) rispetto alle tante altre pellicole viste in passato, soprattutto contando su pochi mezzi economici a disposizione. Ci ha provato il regista americano James Cullen Bressack con questo “Hate Crime”, un’opera condensata in appena settanta minuti e girata completamente con la tecnica del point of view. Un film crudo che punta tutto sul realismo più atroce e insostenibile, entrando nel vivo fin dalle prime battute.
Una famiglia di origini ebraiche sta festeggiando nella propria casa il compleanno del figlio più piccolo: neppure il tempo di soffiare le candeline che facciamo (insieme a loro) un bel salto dalla sedia, tre individui con il passamontagna sono infatti penetrati nell’appartamento con le peggiori intenzioni possibili. Si tratta di tre neonazisti eccitati dalla droga (le svastiche sono sempre in bella vista) che iniziano a umiliare, torturare, stuprare o uccidere in maniera alquanto casuale i cinque componenti della famiglia, scatenando un orrore senza fine piuttosto difficile da mandare giù.
Dopo una partenza tutto sommato valida, “Hate Crime” tende a ripetere pedissequamente questo circolo di crudeltà, senza mai tentare una strada alternativa: le riprese sono state effettuate quasi esclusivamente all’interno della casa e nonostante i lunghi piani sequenza capaci di mettere in risalto la nostra percezione temporale di tale disumano abominio, la curiosità dopo trenta-quaranta minuti lascia il posto alla noia più assoluta. Eppure “Hate Crime” è una pellicola che fa malissimo, considerando che gli attori sono stati veramente malmenati in nome di un realismo a dir poco raggelante. A tal proposito, non convince fino in fondo neppure la metafora del male (il razzismo) come minaccia ancora viva per i soggetti discriminati, anche perché alla violenza gratuita mostrata nel film non corrisponde un messaggio pregno di significati profondi. Il plot dopotutto non esiste, in “Hate Crime” ascolterete soltanto urla strazianti o dialoghi farneticanti dal principio alla fine. Non c’è tregua, neppure per un attimo.
Nel Regno Unito l’opera non ha ricevuto il permesso per essere trasmessa sulle piattaforme che ne avevano fatto richiesta: la censura ha ovviamente travisato le idee messe sul piatto dal regista (anch’egli di origine ebraica), il quale ha espresso il suo disappunto con queste parole: “as a jewish man and a victim of anti-semitic hate, I made an horror film that depicts the very thing that haunts my dreams. As an artist, I wanted to tell a story to remind us that we live in a dangerous world, a world where racial violence is on the rise”). Forse con un budget più sostanzioso James Cullen Bressack sarebbe riuscito a mettere in piedi qualcosa di più consistente, è un peccato infatti dover bollare “Hate Crime” come un found footage da sbadiglio incombente, al di là delle buone premesse e dell’alta tensione di alcune scene al cardiopalmo. Lo sappiamo che i nazisti sono stronzi e cattivi, ma qui ne esce tutto banalizzato all’ennesima potenza.

(Paolo Chemnitz)
