
di Andrzej Żuławski (Polonia, 1988)
“Vedrete un film realizzato dieci anni fa, uno stralcio di film. Una storia di due ore e mezza un quinto della quale manca. Questo quinto, datato 1977, è stato distrutto e non può essere più ricreato. Al posto delle scene mancanti, sentirete una voce che vi spiegherà brevemente l’idea originale”. Inizia con queste parole il lungometraggio maledetto di Andrzej Żuławski, quello che la censura di regime cercò di far sparire per sempre quando si vennero a subodorare i presunti significati politici dell’opera. Per fortuna “Sul Globo D’Argento” (“Na Srebrnym Globie”) è sopravvissuto segretamente per due lustri, nonostante sia un prodotto incompleto e amputato, dunque ancora più difficile da comprendere e da decifrare al di là dell’intervento postumo del regista.
Come da tradizione per un certo cinema di provenienza ex-sovietica, “Sul Globo D’Argento” si può inserire in quel filone fantascientifico di derivazione filosofica, dove le immagini non avrebbero alcun senso se fossero private della loro potenza concettuale. Proprio per questo motivo per una volta partiamo dalla fine, da quella crocifissione che potrebbe far pensare a un prima e a un dopo, esattamente come è accaduto duemila anni fa sul nostro pianeta. Prendendo ispirazione da un romanzo scritto dal suo prozio Jerzy, Andrzej Żuławski ci trasporta su un corpo celeste simile a una Terra primordiale: qui sono atterrati tre astronauti, tra cui una donna in attesa di un bambino, il primo passo per la proliferazione della razza umana su un altro mondo.

Le riprese di Żuławski sono come al solito destabilizzanti, tra soggettive e zoomate improvvise che sembrano voler catturare un orrore imminente, perché anche su quel pianeta la razza umana è condannata a ripetere lo stesso identico percorso che ha accompagnato millenni e millenni della (nostra) storia, tra guerre, violenza e cieca idolatria. L’arrivo di Marek (il presunto Messia) e il confronto con le bizzarre creature antropomorfe (simili a uomini-uccello) che vivono da quelle parti, sconvolgono ogni piano prestabilito: non resta che tentare la via della sottomissione e della conquista, attraverso un messaggio privo di speranza capace di mostrare il volto più oscuro e nichilista del regista polacco.
La splendida fotografia in cui l’azzurro domina su ogni colore ci riporta a una dimensione onirico-visionaria degna del miglior cinema sci-fi, una sensazione avvalorata dalle inusuali location scelte per le riprese (il deserto del Gobi, i monti del Caucaso, la Crimea e la stessa Polonia). Un peccato quindi doversi accontentare di una voce fuoricampo inevitabilmente didascalica, l’unica soluzione per poter mettere in connessione le parti mancanti di un puzzle altrimenti perfetto. Senza l’adeguata chiusura del cerchio, “Sul Globo D’Argento” risulta dunque una pellicola fin troppo ermetica per essere affrontata a cuor leggero: l’unica cosa che si insinua fin da subito sotto la pelle, è il messaggio universale lanciato dal regista, quello sulla fondazione di una civiltà destinata ad aprire un nuovo ciclo di sofferenza e di decadenza morale. La censura polacca, all’epoca, aveva invece visto i soliti fantasmi privi di consistenza.

(Paolo Chemnitz)
