
di Nick Rowland (Gran Bretagna/Irlanda, 2019)
In Italia si sono adeguati al didascalico titolo statunitense, così “The Shadow Of Violence” è diventato “L’Ombra Della Violenza”, bypassando direttamente la denominazione originale (“Calm With Horses”) ripresa dall’omonimo racconto scritto da Colin Barrett. Da una parte l’ippoterapia e una situazione di ipotetica tranquillità, dall’altra invece la costante minaccia di una vita condizionata dalle decisioni di una spietata famiglia di criminali.
Cosmo Jarvis interpreta Douglas Armstrong (detto Arm), un ex pugile oggi alla corte dei Devers, un gruppo di trafficanti di droga che opera in una piccola località costiera irlandese. Tra questi, spicca la figura del giovane Dympna, nel cui ruolo troviamo Barry Keoghan (già apprezzato ne “Il Sacrificio Del Cervo Sacro”). Quando i Devers ordinano, Arm da buon tutore esegue, ricorrendo anche alle maniere forti se necessario: questo ragazzone dal fisico imponente ha però un cuore d’oro e lo dimostra nel rapporto molto umano con il piccolo Jack, il figlioletto (purtroppo autistico) avuto dalla sua ex fidanzata. A un certo punto bisogna scegliere da che parte stare, evitando inoltre di commettere qualche sgarro nei confronti di questa famiglia così rude e impietosa, pronta a non perdonare nulla neppure al nostro protagonista.
“Calm With Horses” segna il debutto alla regia per Nick Rowland, un esordio che oltremanica ha già riscosso un ottimo successo di critica (sono molte le candidature ai British Independent Film Awards). Bisogna senza dubbio applaudire un prodotto del genere, capace di inserirsi con assoluta disinvoltura in quel filone crime-drama tanto in voga nei paesi anglosassoni, anche se a nostro avviso occorre evitare di farsi prendere da facili entusiasmi: “Calm With Horses” è infatti un buon film tuttavia lontano dall’eccellenza, soprattutto per via di una storia a tratti messa in secondo piano davanti al personaggio di Arm, il vero ago della bilancia su cui ruotano le vicende. Dunque più spazio alla psicologia e meno aperture verso quella poetica drammatica che in passato ha fatto grandi opere di taglio simile (pensiamo allo straziante “Dead Man’s Shoes”).
Le scene di violenza sono poche ma toste, perfettamente in linea con la tradizione britannica del genere, perché quello di Nick Rowland prima di tutto è un film secco, duro e senza inutili divagazioni, un pugno ben assestato nello stomaco dove ogni respiro ha i suoi codici da rispettare, senza sconti per nessuno. Tutto ciò all’interno di uno splendido paesaggio rurale irlandese, una cornice dentro la quale si consumano rancori, tormenti e speranze, in attesa di poter scappare via, liberi da ogni costrizione. Come sulla sella di un docile cavallo.

(Paolo Chemnitz)
