
di Rose Glass (Gran Bretagna, 2019)
Anche se negli ultimi anni il genere horror non se la passa troppo bene, alcuni registi sono riusciti a rigenerarlo attraverso un percorso più autoriale, forse meno appetibile da parte del pubblico più giovane ma assolutamente degno di nota da un punto di vista estetico e concettuale. Rose Glass, qui all’esordio, si accoda a quanto detto, rinunciando al modello americano da multisala per inserirsi all’interno di un contesto più stratificato e contaminato: un’idea che parte da molto lontano, perché il soggetto di “Saint Maud” non è poi così distante da quello di “Persona” (1966) di Ingmar Bergman.
Quello interpretato da Morfydd Clark è un personaggio molto forte, una donna capace di trainare le sorti del film al di là del suo valore effettivo: lei è Maud, un’infermiera che nel corso degli anni è diventata una fervente cattolica e che da poco tempo è entrata nella vita di Amanda (Jennifer Ehle), un’eccentrica coreografa ridotta sulla sedia a rotelle a causa di un male incurabile. Maud si trasferisce nella casa di Amanda, accudendola e prendendo a cuore la sua tragica situazione, fino a spingersi ben oltre le sue mansioni quotidiane. L’infermiera è infatti convinta di dover compiere una missione per conto di Dio, salvando l’anima corrotta di una peccatrice (Amanda paga la sua amica Carol in cambio di sesso e di frivola compagnia). Scivoliamo dunque in un abisso di redenzione, di ossessione e di follia.

Già apprezzato in patria (“Saint Maud” si è aggiudicato vari premi ai British Independent Film Awards), a Toronto e recentemente anche a Torino (la vittoria al ToHorror Fantastic Film Fest), questo lungometraggio di Rose Glass ha il merito di restare sempre in equilibrio tra horror mistico-religioso e thriller psicologico, senza mai rinunciare a nessuna delle due componenti. Inoltre, al di là della superba interpretazione della Clark, bisogna rimarcare l’eccellente scelta delle location, divise tra cupi spazi interni (nella casa di Amanda si respira un’aria lugubre e pesante) e gli squarci tutt’altro che rassicuranti di una cittadina depressa sulla costa britannica.
“Saint Maud” è una pellicola dal ritmo compassato che affonda i suoi artigli con molta parsimonia: questa è un’opera prima e Rose Glass evita di fare il passo più lungo della gamba, lasciando invece spazio alle dinamiche esistenziali della protagonista e del suo rapporto con la paziente in cura. Ne esce fuori un film lento e avvolgente, comunque capace di esplodere all’improvviso (l’accompagnamento sonoro gioca un ruolo importante) sia nella parte centrale che nel drammatico epilogo, per nulla consolante. Sentiremo parlare ancora di questa promettente regista, perché “Saint Maud” rappresenta un esordio di indubbio spessore, in parte grezzo sotto alcuni aspetti ma estremamente convincente sia nella messa in scena che nello sviluppo narrativo. Dio esiste e parla gallese.

(Paolo Chemnitz)

Lo attendo molto e non vedo l’ora di vederlo. Ottima recensione.
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