
di Jagoda Szelc (Polonia/Repubblica Ceca, 2017)
Tra le nuove generazioni di registe polacche, il nome di Jagoda Szelc (classe 1984) è sicuramente tra i più interessanti. “Tower. A Bright Day” (“Wieza. Jasny Dzien”), il suo primo lungometraggio, non lascia infatti indifferenti, perché si tratta di un lavoro alquanto originale che rispecchia l’attuale situazione socio-politica che sta vivendo la Polonia contemporanea (divisa tra populismo/integralismo cattolico e la ribellione di chi non accetta tali imposizioni). Questa visione di Jagoda Szelc si manifesta attraverso un potente dramma familiare, una storia terrena nella prima parte ma sempre più ermetica e rituale nella seconda, quando le vicende restano sospese in una sorta di limbo sensoriale ai confini del mystery movie.
Mula vive con il marito e la figlia Nina in una bella casa immersa nel verde della campagna: mancano pochi giorni alla prima comunione della piccola e fervono i preparativi per un evento molto sentito da quelle parti. In attesa della cerimonia, Mula accoglie la famiglia del fratello e una sorella che nessuno vede da sei anni, Kaja. Bisogna però nascondere un’inquietante verità, in quanto Kaja è la vera mamma di Nina (“primo, i paesani non devono sapere che sei sua madre. Non osare nemmeno insinuarlo a Nina, siamo sicuri che non si ricorda di te. Secondo, non devi mai stare da sola con lei. Terzo, comportati normalmente, non dirai una parola sui tuoi anni di assenza”). Regole che a un certo punto saltano inconsapevolmente, poiché qualcosa di sinistro comincia a insinuarsi in quei rapporti familiari, un’energia che mette in antitesi la menzogna in cui vive la ragazzina e l’oscura spiritualità di Kaja, una donna fortemente attratta dalla natura (il sonoro riveste un ruolo fondamentale nel film).
Possiamo dunque contrapporre la torre del titolo (la fortezza familiare, la religione) con l’illuminazione di una giornata che improvvisamente sovverte l’ordine precostituito: tuttavia Jagoda Szelc evita di scadere nel facile didascalismo, spingendosi al di là della nostra immaginazione con un finale shock destinato a far discutere. Ecco che allora il messaggio iniziale “questo film è basato su eventi futuri” sembra quasi voler lanciare una sfida, come se il personaggio di Kaja sia in missione per conto di un volere superiore legato alla potenza del cosmo e delle leggi naturali.
Il rischio di mandare tutto all’aria è sempre dietro l’angolo, ma grazie a una tensione psicologica latente e all’ottima prova del cast (con le donne assolute protagoniste al contrario degli uomini), “Tower. A Bright Day” riesce sempre a mantenersi vivo per quasi due ore, nonostante qualche lungaggine forse evitabile. Il cinema polacco contemporaneo è in forma, non ci sono dubbi, peccato soltanto che in Italia queste opere siano praticamente sconosciute: ringraziamo quindi il Trieste Film Festival per aver selezionato il lavoro di Jagoda Szelc, sicuramente il lungometraggio più strano (e straniante) tra quelli proposti nel programma della trentaduesima edizione.

(Paolo Chemnitz)
