
di Vincent Paronnaud (Belgio/Francia/Irlanda, 2020)
Dopo essersi confrontato essenzialmente con il cinema di animazione, per il francese Vincent Paronnaud è scoccata l’ora del thriller truculento, un film che già dal titolo non lascia presagire nulla di buono: “Hunted” forse suona fin troppo banale, ma alla resa dei conti è meglio di “Cosmogonie”, ovvero la fantasiosa denominazione originaria di questa pellicola quando ancora era in fase di lavorazione.
Ève (Lucie Debay) viene rimorchiata dentro un locale da un tizio senza nome (Arieh Worthalter), apparentemente simpatico e gentile: ma non c’è neppure il tempo di finire la nottata altrove, perché improvvisamente nella macchina dell’uomo (dove la coppia si era appartata) irrompe un terzo personaggio – complice del tizio – che parte a tutto gas per dirigersi lontano dalla città. Per Ève ha dunque inizio un calvario senza fine, perché “Hunted” altro non è che un survival movie ambientato dentro un bosco, dove c’è chi fugge (la protagonista) e chi insegue (il nostro psicopatico accompagnato da questo terzo bizzarro elemento, un tipo con un evidente ritardo mentale).
Dopo un incipit da fiaba popolare (con tanto di suggestive sequenze animate), “Hunted” entra subito nel vivo deliziandoci con alcune scene piuttosto tese e angoscianti: la prima mezzora del film funziona molto bene, nonostante non sia affatto facile decifrare la nebulosa caratterizzazione di questi individui (il pazzo che abborda e rapisce Ève è fin troppo sopra le righe, al di là del fatto che sia un personaggio di indubbio fascino). Se qui l’uomo è il lupo, la ragazza è invece Cappuccetto Rosso, fin dal colore dei suoi abiti. Vincent Paronnaud trasforma dunque le suggestioni favolistiche in qualcosa di reale e tangibile, facendo addirittura collimare l’idea di thriller con quella di revenge movie (perché i ruoli in questo caso possono anche ribaltarsi). Attraverso i vari appigli fiabeschi, “Hunted” scivola quindi nel tribale, nell’arcano e nel primordiale, poiché l’azione qui è accompagnata da un severo ritorno alle origini (senza per forza scomodare la cosmogonia), un passaggio chiave che esplode per mezzo di quelle urla bestiali che di umano non hanno nulla (così come il volto di Ève macchiato di azzurro, la preda che rinasce donna guerriera).
Il finale esagitato riscatta una parte centrale meno brillante e non sempre credibile (anche per via di una recitazione poco naturale da parte degli attori), ma Vincent Paronnaud si salva in corner grazie a una regia molto interessante, soprattutto nelle inquadrature e nel montaggio, un linguaggio cinematografico mai banale che sopperisce alle evidenti carenze di un soggetto fin troppo abusato in passato. “Hunted” ha dunque le sue cartucce da sparare, pur non essendo un film da tramandare ai posteri.

(Paolo Chemnitz)
