
di Antonio Margheriti (Italia/Francia, 1964)
Rapportato alla sua epoca, il cinema gotico italiano era capace di destabilizzare lo spettatore per le sue atmosfere e per la sua morbosità, al contrario delle future derive exploitation che da lì a poco cambieranno le sorti del cinema horror. A tal proposito, Antonio Margheriti è stato uno dei registi più influenti di questo filone, soprattutto con “Danza Macabra” (diretto anche da Sergio Corbucci, qui non accreditato) e con il successivo “Il Lunghi Capelli Della Morte” (1965).
Ammirato all’estero con il titolo “Castle Of Blood”, “Danza Macabra” è un film tra i più suggestivi di quel periodo. L’incipit vale da solo il prezzo del biglietto: durante i primi minuti conosciamo un giornalista (Alan Foster è interpretato da Georges Rivière) intenzionato a intervistare Edgar Allan Poe (Silvano Tranquilli), quest’ultimo per la prima volta in visita nel Regno Unito. Quando Poe racconta all’uomo che le sue storie sono realmente accadute e non sono frutto della sua immaginazione, lo scetticismo di Foster diventa lo strumento necessario per accettare una scommessa lanciata da un terzo interlocutore, Lord Blackwood (Umberto Raho). Ritroviamo quindi il giornalista all’interno di un castello spettrale (Bolsena per una volta diventa Londra), dove è in procinto di trascorrere da solo tutta la notte. Sopravvivere fino all’alba in quel luogo così tetro significa vincere la scommessa.
In realtà “Danza Macabra” non ha niente a che spartire con le opere di Edgar Allan Poe, però l’idea di fondo è molto convincente, considerando l’ottimo apporto scenografico e una regia capace di sfruttare a dovere ogni singolo ambiente all’interno del castello. Una confezione dunque valida, nella quale scivola lentamente uno script a tratti davvero povero di ritmo e di situazioni degne di nota: quando poi l’horror sovrannaturale viene affiancato dalla deriva melodrammatica, i riflettori su Foster si spengono definitivamente per accendersi sul volto di Barbara Steele (nei panni di Elisabeth Blackwood), una donna fantasma impossibilitata ad amare questo nuovo ospite (“I’m dead Alan. Dead”).
Oggi questa pellicola risente un po’ degli anni, soprattutto nei dialoghi e nella banale caratterizzazione del protagonista, unico personaggio del film a lasciare indifferenti (al di là della sua sorte, perché il finale è veramente bello). Tuttavia il fascino di “Danza Macabra” resta scolpito nei nostri ricordi, così come le sue audaci derive saffiche, suggerite da un coraggio da apprezzare a prescindere (considerando l’epoca, Margheriti già guardava avanti). Peccato che il regista abbia voluto riproporre lo stesso film a colori sette anni dopo, poiché il remake del 1971 “Nella Stretta Morsa Del Ragno” vale la metà dell’eleganza oscura di questo importante lungometraggio in bianco e nero. Una danza macabra spettrale e ammaliante.

(Paolo Chemnitz)

Visto! Però non mi ha suscitato particolare “ribrezzo; forse se lo avessi visto nel 1964 sarebbe stato diverso 🙂
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Io gli avrei dato 5 stelle. È per quanto mi riguarda assieme a operazione paura e al dittico argentiano suspiria-inferno il più bel gotico italiano di sempre.
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