
di Michael Crichton (Stati Uniti, 1978)
Nel 1978 Michael Crichton dirige il suo film più acclamato, “Coma Profondo” (“Coma” nel titolo originale), un medical-thriller al cardiopalmo tratto da un romanzo di Robin Cook. Parliamo di un regista/scrittore che è stato per tutti l’autore di “Jurassic Park”, il libro dal quale Steven Spielberg ha tratto l’omonima trasposizione cinematografica di successo. In tempi di pandemia, rivedere oggi “Coma Profondo” può aiutarci a riflettere sul potere della medicina e su quanto sia molto stretto il legame tra politica e progresso scientifico: parliamo pur sempre di un fantathriller, anche se frasi di questo tenore hanno comunque un fondo di verità non indifferente (“somebody has to make these decisions. We can’t wait around forever. If society won’t decide, we’ll decide. We’ll make the hard decisions”).
La storia è quasi esclusivamente ambientata all’interno del Boston Memorial Hospital: qui conosciamo la Dottoressa Susan Wheeler (Geneviève Bujold) e il suo collega nonché compagno Mark Bellows (un giovane Michael Douglas), una coppia in crisi anche per via del carattere ribelle e spigoloso della protagonista. Quando in seguito a una banale operazione, la migliore amica di Susan finisce in stato comatoso, per la donna ha inizio un’indagine personale tra i corridoi e le stanze dell’ospedale, alla ricerca delle cause che hanno portato a questo. I casi di coma sono infatti molteplici, in attesa di scoprire una verità che a lungo andare si rivela agghiacciante.
Michael Crichton indovina tutto, a cominciare da una sceneggiatura impeccabile che ci tiene sempre con il fiato sul collo: la tensione sale con il passare dei minuti, anche perché il film sfrutta a dovere ogni ambiente dell’ospedale, da quello più luminoso a quello più angusto (cunicoli, sotterranei, celle frigorifere e non solo). Si rivela anche molto interessante la location della misteriosa clinica privata, un luogo freddo e asettico che ricorda non poco alcune suggestioni del primo Cronenberg. “Coma Profondo” è dunque un film che genera inquietudine (non manca neppure qualche affondo tipicamente horror), un’opera dove la sensazione di paranoia e di complotto diventa praticamente complementare alla ricerca spasmodica della verità.
L’individuo qui viene abbandonato nelle mani di un grande meccanismo sociale, la medicina: ecco perché questi fotogrammi premiano il coraggio e la consapevolezza di una giovane dottoressa convinta delle proprie azioni, seppur altamente rischiose. Ci si appassiona alla pellicola proprio grazie a questa figura inizialmente tutt’altro che simpatica, una donna capace di sfidare la follia organizzata degli alti vertici di quel nosocomio. Al di là dei suoi eccessi voluti (stiamo sempre parlando di un fantathriller), “Coma Profondo” resta ancora oggi uno dei migliori esempi nel genere di riferimento, soprattutto se lo rapportiamo alla sua epoca (la fine degli anni settanta). Scendono ancora i brividi, ripensandoci.

(Paolo Chemnitz)
