
di Jens Assur (Svezia, 2017)
Il primo lungometraggio di Jen Assur risale al 2017 e senza dubbio merita di essere riscoperto, anche perché ancora una volta è il cinema drammatico a sbatterci in faccia la miseria umana meglio di qualsiasi altra cosa. In questo caso diventa fondamentale il rapporto tra due personaggi (un padre e un figlio) all’interno di un affascinante contesto rurale scandinavo, segnato dall’immutabile ciclo delle stagioni (e della vita stessa).
Svezia, anni settanta: Agne (eccellente la prova di Reine Brynolfsson) è un laborioso signore ormai in età avanzata, costretto a portare avanti la sua grande fattoria per mantenere la moglie (una donna a lui devota ma infelice) e i due figli, uno piccolino e uno in età adolescenziale (Klas). Agne vorrebbe essere aiutato proprio da Klas, mentre il ragazzo al contrario sogna una vita lontano da lì, perché quel piccolo villaggio di contadini è un mondo troppo stretto per lui (per certi versi “Ravens” si può accostare al magnifico “Sami Blood” del 2016). Nel corso della pellicola avvertiamo la disperazione latente del padre di famiglia, un individuo capace persino di commettere degli atti di autolesionismo per attirare su di sé l’attenzione di una realtà che si sta letteralmente sgretolando sotto i suoi occhi. Prima di una finale amaro e davvero poco consolante.
L’epoca in cui è ambientato il film non è stata scelta a caso, perché se (alla fine dei 70s) la vita contadina è ancora il fulcro della Svezia rurale, il progresso delle grandi città comincia a richiamare molta gente dalle campagne. Un periodo di netta trasformazione dove viene messa in discussione la continuità generazionale tra genitori e figli. Jen Assur è molto bravo nel saper porre in contrasto le due figure portanti dell’opera, ovvero un ragazzino che inizia a scoprire la bellezza del mondo (i primi baci con una coetanea di passaggio) e un padre testardo ma coerente fino alla fine con se stesso. Ecco perché “Ravens” (“Korparna” nel titolo originale) può essere definito un piccolo coming of age sovrastato da una drammaticità inestirpabile capace di prendere definitivamente il sopravvento con il passare dei minuti.
I corvi imperiali osservati da Klas hanno una valenza simbolica ben definita: la metafora del cattivo presagio può essere anche letta con una valenza positiva, perché questi volatili incarnano pure quella libertà sognata quotidianamente dal giovane (ma gli animali nel film muoiono, che siano mucche o uccelli non cambia nulla, in “Ravens” lo sguardo severo della natura è sempre al di sopra delle parti). Questo per sottolineare l’indiscutibile valore concettuale dell’opera, da sommare a un linguaggio estetico di indubbio spessore (bene sia la regia che la fotografia). Il drammone nordico dunque è servito, non resterete delusi.

(Paolo Chemnitz)
