Lacrime Di Kali

di Andreas Marschall (Germania, 2004)

Prima di tuffarsi a capofitto nel genere horror, Andreas Marschall era conosciuto soprattutto nel giro heavy metal come disegnatore di copertine (Sodom, Running Wild, Blind Guardian, Obituary e tanti altri) e come regista di videoclip (Coroner, Kreator, Rage, Samael, Moonspell e non solo). La svolta arriva puntuale nel 2003, quando Marschall dirige il cortometraggio “Der Kali Prozess”, uno short da cui nascono alcune idee per il successivo esordio sulla lunga distanza “Lacrime Di Kali” (“Tears Of Kali” nel titolo originale).
La pellicola in questione è divisa in tre segmenti ben distinti (Shakti, Devi e Kali), ognuno dei quali ci riconduce a una fantomatica ex-organizzazione chiamata Taylor-Eriksson, praticamente una setta fondata in India da alcuni europei dove si sperimentava sulla sopportazione del dolore anche attraverso pratiche violente (un tentativo di liberazione immediata dal karma negativo). Se alcuni flashback ci permettono di tornare indietro nel tempo alle origini di questi rituali, i tre episodi si svolgono invece molti anni dopo, quando gli influssi nefasti di tali pratiche non sono per nulla svaniti. Il primo capitolo ci mette un po’ a carburare, ma trova la quadratura del cerchio in un finale al cardiopalmo. Interessante poi la location, perché tutta la storia verte sull’incontro tra una giornalista e una donna mentalmente instabile ricoverata presso un ospedale psichiatrico. Molto meglio il secondo segmento, dove conosciamo un tossico in seduta di riabilitazione presso un medico un tempo membro della succitata organizzazione: qui Andreas Marschall si sbizzarrisce alla grande, portando all’esasperazione il rapporto tra i due protagonisti (alcune scene di autolesionismo estremo non si dimenticano facilmente). Convince anche il terzo episodio, una vicenda dai risvolti più sovrannaturali capace di generare ansia e inquietudine.
Dal regista di Karlsruhe non dovete aspettarvi un prodotto patinato: qui i soldi scarseggiano e l’approccio estetico è al limite dell’amatoriale, anche solo per una fotografia davvero scarna di stampo televisivo. Ma “Lacrime Di Kali” si riscatta sotto tanti altri punti di vista, a cominciare dalla sua tematica piuttosto originale (l’ambiguo e intrigante universo dei nuovi movimenti religiosi), senza trascurare l’apporto non indifferente di alcune sequenze veramente estreme e malaticce. Un film dunque cattivo, malsano e ricco di interessanti citazioni anche per il nostro cinema di genere (sorprendente quella per “Keoma”, il western cristologico di Enzo G. Castellari).
Dopo “Lacrime Di Kali”, il percorso di Andreas Marschall è proseguito lentamente prima con un’altra pellicola (il discreto anche se derivativo “Masks”) e poi con la partecipazione a un paio di horror a episodi (ricordiamo soprattutto “German Angst”). Se avete voglia di curiosare tra le sue opere, il consiglio è proprio quello di partire con “Lacrime Di Kali”, un lavoro oscuro e ferale che nasconde tra i suoi fotogrammi un fascino ricco di deviate suggestioni.

(Paolo Chemnitz)

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