
di Ryan Kruger (Sudafrica, 2020)
Tra i titoli più interessanti dell’imminente Be Afraid Horror Fest (quest’anno anche in streaming su Mymovies), dobbiamo per forza segnalare questo delirio assoluto diretto da Ryan Kruger, un film che sviluppa un’idea di base già assaporata nell’omonimo short uscito nel 2017. Sono molte le prerogative che rendono affascinante questo lungometraggio, a cominciare da un protagonista (Barry) interpretato da un magnifico Gary Green, la faccia giusta che spacca in due lo schermo, un volto allucinato del quale ci ricorderemo a lungo.
Barry è il classico tossico senza speranza. La sua vita fa letteralmente schifo, sia tra le mura domestiche (egli rinnega persino suo figlio) che per le strade di Cape Town, quelle ovviamente bazzicate dalla stessa feccia a lui simile. Durante una notte, Barry viene avvolto da un fascio di luce per poi essere condotto all’interno di un’astronave, dove delle oscure creature aliene cominciano a sperimentare con il suo corpo. Una volta ritornato sulla Terra, Barry non è più lo stesso: non parla, ha gli occhi costantemente sgranati e si comporta come un automa, mentre sullo sfondo si anima una metropoli notturna illuminata dalle luci al neon e frequentata soltanto da gente sballata, da invadenti mignotte e da individui alla disperata ricerca di compagnia.
Ryan Kruger ha il merito di essere riuscito a trovare un equilibrio quasi perfetto tra commedia, horror e sci-fi, perché se i comportamenti del nostro Barry dal cervello fritto spesso si rivelano uno spasso (memorabili le immagini in discoteca), questo è pur sempre cinema fantastico, con i suoi momenti persino inquietanti e malsani (quella del parto è una scena cult). Inoltre c’è una regia che sa il fatto suo, una fotografia degna delle grandi occasioni e una colonna sonora bella pompata che ti fa venir voglia di stare lì, tra le vie e i locali di questa metropoli weirda dove non c’è nessuno con la testa a posto.
L’unico vero punto debole del film bisogna ricercarlo nello script, eccessivamente frammentato nella prima parte (si avvicendano tante scenette una dopo l’altra) e con qualche lungaggine di troppo nella seconda, una sceneggiatura composta da tanti piccoli sketch più che da una storia narrativamente compiuta. Per fortuna c’è Barry a fare da collante tra questi singoli episodi, un giostraio lisergico che ci invita a provare tutte le sue fottute attrazioni. Godiamoci allora questo film anormale, strambo e fuori dagli schemi, capace di coniugare il trash alla follia senza perdere mai di vista una ricerca estetica sicuramente significativa e ricca di spunti. Se un disadattato come “Bad Boy Bubby” (1993) ci faceva persino tenerezza, quello protagonista di “Fried Barry” ci regala il trip mentale più farneticante di questo 2020.

(Paolo Chemnitz)
