
di Pierre Monnard (Svizzera, 2020)
Fino alla metà degli anni novanta, il Platzspitz di Zurigo era un parco cittadino frequentato esclusivamente da tossicodipendenti, dove tanti giovani provenienti da ogni parte della Svizzera (ma anche da altri paesi) si riunivano per spararsi nelle vene la loro dose di eroina. Un luogo pericoloso e degradato, nel quale la polizia non aveva possibilità di accedere. “Platzspitzbaby” (“Needle Park Baby” nel titolo internazionale) è un film ambientato subito dopo la chiusura di questo parco, quando le istituzioni elvetiche cercarono di arginare il problema offrendo a questi individui degli aiuti efficaci: una distribuzione controllata di eroina e metadone affiancata da una politica di integrazione sociale e professionale.
Le protagoniste di questa vicenda sono una mamma sulla via della redenzione (Sandrine) e sua figlia undicenne Mia (magnificamente interpretata dalla piccola Luna Mwezi), entrambe trasferitesi da poco – grazie al sussidio statale – in un posto più tranquillo fuori città. Tuttavia il diavolo tentatore è sempre nei paraggi e per Sandrine non è difficile ricominciare a frequentare i suoi vecchi amici tossici. Cosa può fare allora la giovane Mia per una madre a cui vuole tanto bene? Immolarsi, sacrificarsi, sopportare, per difenderla sempre e comunque anche davanti ai suoi comportamenti più stupidi e immaturi. Due ruoli che dunque si capovolgono, con la ragazzina capace di mettersi sulle spalle un peso non indifferente, aiutata soprattutto dalla sua passione per la musica e dalla sorridente e spensierata compagnia di alcuni suoi coetanei.
Il primo paragone che salta in mente è quello con un film austriaco uscito nel 2017, “Die Beste Aller Welten”, la storia del controverso rapporto tra un bimbo di sette anni e la sua mamma tossicodipendente: seppur meno morboso rispetto all’opera di Adrian Goiginger, “Platzspitzbaby” ci permette comunque di partecipare attivamente alle disavventure delle due protagoniste, al di là di una caratterizzazione che scava meno in profondità rispetto all’approccio martellante della succitata eccellente pellicola. Tuttavia anche in questo caso non mancano alcune scene destabilizzanti, perché il mondo della droga è capace di sconvolgere sia il corpo che la mente delle persone.
Alla base di “Platzspitzbaby” c’è un romanzo omonimo scritto da Michelle Halbheer, da cui lo sceneggiatore André Küttel sembra aver attinto senza l’intenzione di strafare: per raggiungere le vette più alte del cinema drammatico forse manca quel guizzo narrativo capace di tramortirci emotivamente, però si cammina sempre sul filo del rasoio con il serio rischio di farsi molto male. Per fortuna c’è Mia, l’elemento umano puro e incorruttibile su cui il regista Pierre Monnard ripone tutte le speranze per il futuro. “Platzspitzbaby” conferma dunque il buon momento attraversato dal cinema svizzero, qui intenzionato a riscattare con orgoglio una delle esperienze più buie della recente storia cittadina zurighese.

(Paolo Chemnitz)
