Suzanne Simonin, La Religieuse De Diderot

di Jacques Rivette (Francia, 1966)

“Suzanne Simonin, La Religieuse De Diderot” non ha avuto vita facile in patria: il lungometraggio viene infatti censurato nel 1966 per i suoi presunti contenuti anticlericali, per poi essere rimesso in circolazione l’anno successivo, quando l’opera finalmente approda al Festival di Cannes. Jean-Luc Godard, all’epoca sposato con la protagonista del film (una giovane e magnetica Anna Karina), fu tra gli intellettuali più attivi a muovere una dura protesta a favore della libera circolazione della pellicola. Tuttavia non bisogna stupirsi affatto del rispetto e dell’ammirazione che la critica aveva nei confronti di Jacques Rivette, un regista sicuramente più amato dagli addetti ai lavori che dal pubblico.  
Do you promise poverty, chastity and obedience to God? No, Monsieur, no”. La pellicola, tratta da un romanzo di Denis Diderot (lui di certo non amava le istituzioni religiose), sfrutta la metafora del convento per allargare il discorso in maniera molto più ampia, poiché “Suzanne Simonin, La Religieuse De Diderot” prima di tutto è un inno alla libertà e alla possibilità di poter scegliere un proprio percorso individuale. Ciò che invece viene precluso alla bella Suzanne, condannata dalla famiglia a prendere i voti per diventare suora: un destino tormentato, straziante e irreversibile, nonostante la ragazza cerchi in tutti i modi di rinunciare a quella condizione (cambiando anche convento, inutilmente). Inoltre nella Francia del diciottesimo secolo questi comportamenti borderline vengono considerati blasfemi e demoniaci, il motivo per cui Suzanne finisce spesso rinchiusa in una piccola cella, costretta alle più umilianti penitenze. Neppure il finale (tragico e fulminante) ci permette di respirare, perché questo è un film che più di altri riesce a trasmetterci un sentimento di perenne infelicità della carne e dello spirito.
Jacques Rivette si prende tutto il tempo necessario (circa due ore e venti minuti) per mettere in scena questo calvario, un’esperienza rigida e severa che concede pochissimo spazio alle riprese in esterna. Lo script diventa quindi volutamente ridondante, come se il regista volesse farci affogare lentamente insieme alla disperata Suzanne, una donna schiacciata da altre donne (la madre, le altre suore) che su di lei riversano le proprie frustrazioni.
Insieme a un altro classico come “Madre Giovanna Degli Angeli” (1961), “Suzanne Simonin, La Religieuse De Diderot” rappresenta uno dei più fulgidi esempi di cinema conventuale d’autore, niente a che vedere con le derive nunsploitation che vedremo nel decennio successivo soprattutto in Italia. Qui comunque si soffre e neppure poco, considerando quel messaggio universale che ricade su ogni essere umano, il quale quotidianamente dovrebbe interrogarsi sulla propria condizione sociale: siamo noi a scegliere oppure c’è sempre qualcuno che sceglie per noi? Un film da riscoprire, perché “Suzanne Simonin, La Religieuse De Diderot” fa parte di quel cinema perduto di cui si parla sempre poco.

(Paolo Chemnitz)

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