Il Cuoco, Il Ladro, Sua Moglie e L’Amante

di Peter Greenaway (Olanda/Gran Bretagna/Francia, 1989)

Con “Il Cuoco, Il Ladro, Sua Moglie e L’Amante” (“The Cook, The Thief, His Wife & Her Lover”), un grande intellettuale come Peter Greenaway è riuscito a far collimare alla perfezione l’estremo con il grottesco, lavorando su un piano concettuale intriso di critica nei confronti della società dei consumi: cibo, sesso, violenza, morte, una grande abbuffata figlia del lungo mandato del governo Thatcher nel Regno Unito. Un film dunque più politico e più impegnato, in cui vengono messi a confronto due personaggi diametralmente opposti tra loro, a voler simboleggiare lo scontro ormai impari tra l’arroganza dei ricchi e la gentilezza d’animo di chi vive in disparte, in mezzo ai libri e alla cultura.
Albert Spica (un eccellente/eccentrico Michael Gambon) dirige un ristorante insieme a uno chef francese di nome Richard: tutte le sere egli si reca in quel luogo mangiando a sbafo e insultando chiunque gli capiti sotto tiro, dalla moglie Georgina al personale della sala. Durante una cena, lo sguardo di Georgina si incrocia con quello di Michael, un uomo solitario che nella vita fa il bibliotecario. Tra i due nasce qualcosa che si tramuta in una serie di incontri furtivi nei bagni del ristorante, dove ogni sera la coppia consuma dei rapporti sessuali in gran segreto. Quando però Michael viene scoperto da Albert, la furia di quest’ultimo si tramuta in una vendetta capace di mettere in moto qualcosa di ancora più atroce (“try the cock, Albert. It’s a delicacy and you know where it’s been”).
Conoscere a apprezzare Peter Greenaway significa amare la storia dell’arte, in particolare quella pittura barocca o manierista che il regista gallese cita insistentemente fotogramma dopo fotogramma, come se il cinema fosse un continuo susseguirsi di tele dipinte per l’occasione: anche se sullo sfondo della sala principale campeggia un imponente quadro di Frans Hals (Il banchetto degli ufficiali del corpo degli arcieri di San Giorgio), “Il Cuoco, Il Ladro, Sua Moglie e L’Amante” non rinuncia mai a un trionfo di pompose immagini create con una macchina da presa trasformata in tavolozza, per una messa in scena sovraccarica in cui prevale un simbolismo molto meno ermetico rispetto ad altre circostanze.
Gli esterni (il blu), le cucine (il verde), la sala (il rosso) e i bagni (il bianco), Greenaway divide in scompartimenti il suo teatro degli eccessi, unendo ogni palcoscenico con delle lunghe carrellate che scivolano dolcemente attraverso i vari ambienti: il risultato è memorabile, perché la tragedia che si consuma nel finale cannibalico è la vetta incontrastata di una scalata senza precedenti, implacabile nel suo messaggio diretto e mai artificioso (la linea di demarcazione tra opulenza/cialtroneria e spontaneità/intelletto qui viene segnata in maniera netta e decisa). “Il Cuoco, Il Ladro, Sua Moglie e L’Amante” è dunque un film unico nella sua essenza e nella sua estetica, un contenitore di idee e di genio da ritenere ancora oggi uno dei vertici assoluti del cinema di Greenaway. Il suo capolavoro, probabilmente.

(Paolo Chemnitz)

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