Evil Dead Trap

di Toshiharu Ikeda (Giappone, 1988)

Il cinema horror giapponese ha sempre avuto una sua precisa identità, smarcandosi fin dagli albori da eventuali riferimenti di taglio occidentale. Poi ovviamente c’è la solita eccezione che conferma la regola, ovvero un film come “Evil Dead Trap”, per certi versi più vicino alle pellicole di Lucio Fulci e Dario Argento che all’immaginario tipicamente orientale. Sensazioni che affiorano sia per le atmosfere da incubo che per l’utilizzo fantasioso del gore, senza dimenticare un’ossessiva colonna sonora che sembra stata scritta appositamente dai Goblin.
Passano soltanto cinque minuti e osserviamo una lama conficcarsi dentro un occhio, si tratta di alcuni fotogrammi estratti da un presunto snuff movie. Nami, una giornalista televisiva che trasmette filmati amatoriali durante un programma notturno, ha appena ricevuto questa inquietante videocassetta in cui una donna viene torturata e uccisa dal suo carnefice. In questo caso i tempi di “Ringu” (1998) sono ancora lontani e il j-horror, per come lo conosciamo oggi, non è stato ancora codificato: nessun elemento sovrannaturale dunque, bensì una deriva ferale che prevede l’esistenza di un assassino in carne e ossa, un essere mostruoso e deforme che si nasconde in una fabbrica dismessa della città.
“Evil Dead Trap” (il titolo fa il verso alla celebre saga di Sam Raimi ma non ha nulla in comune con essa) ci catapulta immediatamente all’interno di questa fatiscente struttura: seguiamo Nami e gli altri membri della troupe intenti a cercare risposte tra questi sporchi ambienti immortalati da una fotografia molto cupa, dove ogni corridoio può nascondere una raccapricciante sorpresa. Il ritmo è abbastanza sostenuto e il sangue scorre in abbondanza, prima di una svolta conclusiva assolutamente delirante, nella quale Toshiharu Ikeda finalmente mette in evidenza la sua natura giapponese (il montaggio diventa più serrato e le ultime immagini sfociano persino nel body horror più malsano).
La sceneggiatura (di Takashi Ishii) è discreta e quell’epilogo volutamente grottesco ed esagerato riesce a far cambiare marcia a un film altrimenti troppo aggrappato al modello occidentale (attori e attrici a parte, alcune pescate dal giro porno). Questo “Evil Dead Trap” lo avremmo comunque promosso a prescindere, perché è un horror intriso di passione/devozione per la materia e soprattutto perché ci troviamo nel 1988, un periodo in cui questo genere in patria non è certo nella sua fase più commerciale (nell’underground imperversa la saga estrema di “Guinea Pig”). “Evil Dead Trap” ha due sequel, sicuramente meno viscerali di questo prodotto a basso budget, un lavoro che non può mancare nella collezione di ogni horror-maniaco che si rispetti.

(Paolo Chemnitz)

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...