
di Ahn Sang-Hoon (Corea del Sud, 2011)
Purtroppo sono ancora pochi i thriller coreani di valore che negli anni sono riusciti a trovare una distribuzione home video italiana: uno di questi è “Blind”, un film meno cruento e originale rispetto ad altre pellicole dello stesso tenore ma come sempre curato in ogni minimo dettaglio. Questo per sottolineare il costante livello medio-alto di molti prodotti provenienti dalla Corea del Sud, spesso capaci di appassionare anche ricalcando un soggetto piuttosto abusato in passato (in questo caso basta partire dal classico di Terence Young “Gli Occhi Della Notte”).
La brava Kim Ha-Neul interpreta Min Soo-Ah, una promettente allieva dell’accademia di polizia: il suo percorso formativo però non dura molto, poiché la ragazza viene espulsa in seguito a un grave incidente stradale causato da una serie di sue negligenze (dopo il sinistro Min perde anche la vista). L’incipit punta subito sullo spettacolo e su qualche forzatura a cui i coreani ci hanno ormai abituati da tempo, una partenza fulminante tuttavia frenata da un proseguimento molto più pragmatico e lineare. La nostra protagonista diventa infatti il vero motore dell’opera, in una caccia spietata (nonché reciproca) a un serial killer che nel frattempo sta facendo sparire una serie di giovani donne dopo averle fatte salire sulla propria auto. Nonostante la cecità, Min ha comunque sviluppato maggiormente gli altri sensi (ce ne accorgiamo quando la ragazza finisce proprio nel taxi dell’assassino), una peculiarità che incarna l’essenza stessa del film.
Pur nella sua patinata confezione rivolta anche a un pubblico commerciale, “Blind” per nostra fortuna non è un thriller intriso di compassione per la giovane Min: al contrario, questo handicap trasforma la sua sensibilità in un’arma capace di sondare gli aspetti meno evidenti dell’indagine, una condizione che viene sfruttata anche grazie all’aiuto del detective Jo (un simpatico Jo Hie-Bong fin troppo comico in alcuni passaggi). Questo accade a discapito della figura del serial killer, praticamente un personaggio di secondo-terzo piano con il quale non stabiliamo nessun tipo di contatto (il punto debole del film è questa assoluta mancanza di interesse nel tratteggiare la psicologia del carnefice). Una scelta voluta, capace di orientare la pellicola più sul versante drammatico/investigativo che su quello tipicamente action/horror.
La scena clou dell’opera è quella girata nella metropolitana, contraddistinta da una notevole costruzione della tensione e da un epilogo di sangue purtroppo amaro. Basterebbero questi cinque-dieci minuti al cardiopalmo per consigliarvi la visione di “Blind”, un thriller di tutto rispetto che avrebbe meritato soltanto qualche piccola variazione sul tema, in modo tale da aggirare certi stereotipi tipici del genere. Anche se in Corea, questi cliché guarda caso funzionano sempre.

(Paolo Chemnitz)
