Zardoz

di John Boorman (Gran Bretagna/Stati Uniti/Irlanda, 1974)

Trascorsi due anni da quel capolavoro senza tempo di “Deliverance” (1972), John Boorman torna in pista con un prodotto inclassificabile destinato ancora oggi a far discutere: “Zardoz” mette infatti talmente tanta carne al fuoco che non è possibile definirlo come un semplice film di fantascienza, perché in esso troviamo elementi fantasy, mitologici, avventurosi, filosofici e persino post-atomici (siamo pronti a scommettere che alcuni b-movie italiani degli anni ottanta devoti a questo filone abbiano attinto anche da tale affascinante immaginario). Non a caso Sean Connery qui lo vediamo con degli improbabili mutandoni rossi, protagonista di un primitivo mondo apocalittico che non lascia di certo indifferenti.
L’attore scozzese (purtroppo da ieri piangiamo anche lui) qui si smarca definitivamente dal suo personaggio più celebre, quello dell’agente 007: in “Zardoz” egli veste i panni di Zed, uno dei tanti sterminatori incitati da una misteriosa divinità volante a massacrare gli ultimi disgraziati rimasti sulla Terra (“the Penis is evil! The Penis shoots seeds, and makes new life to poison the Earth with a plague of men, as once it was. But the gun shoots death and purifies the Earth of the filth of brutals. Go forth, and kill! Zardoz has spoken”). Successivamente Zed riesce a penetrare all’interno di una comunità ristretta dove vivono gli immortali, un ambiente paradisiaco separato dal resto del pianeta devastato e violento grazie a una barriera invisibile. Questi uomini vivono nella noia e nell’apatia, possono solo invecchiare (come punizione) ma non morire, uno status destinato tragicamente a mutare proprio per via dell’irruzione di Zed.

Con “Zardoz” John Boorman scrive, dirige e produce il suo film più ambizioso, un passo più lungo della gamba che oggi, con il senno di poi, non suona così tanto privo di logica: se infatti da un lato l’iter narrativo spesso si dimostra confuso e fin troppo aggrovigliato sui vari personaggi, è l’aspetto filosofico del film a mettere in connessione tutte le tessere del puzzle (Boorman cita soprattutto Nietzsche e non potrebbe essere altrimenti). La vita non ha senso senza la morte, Zed quindi diventa lo strumento per far tornare in equilibrio un mondo completamente allo sbando (la distruzione gratuita contro la possibilità di vivere in eterno). Per far in modo che ciò avvenga, il regista tira in ballo le più disparate influenze letterarie (“Il Mago Di Oz”, “La Città e Le Stelle”) e mitologiche (il fuoco rubato agli dei da Prometeo), catapultandoci davanti a una serie di contrastanti scenografie che non fanno altro che acuire il senso di straniamento comunicato dall’opera. Quando poi la musica di Beethoven chiude il cerchio, la sensazione è quella di aver visto una pellicola completamente fuori dagli schemi, dove il kitsch incontra il weird in un valzer psichedelico senza precedenti.
Al di là del messaggio lanciato dalle vicende, “Zardoz” non lascia indifferenti: con un budget tutt’altro che elevato, Boorman resta in bilico tra scintille di genio e scelte puerili, ponendo comunque delle basi importanti per un cinema sci-fi totalmente libero di muoversi tra passato e futuro, senza alcuna regola da rispettare. Una volta superato il suo bizzarro involucro, “Zardoz” offre tantissimo allo spettatore, soprattutto dopo una seconda approfondita visione. Si può odiare, senza dubbio, ma a distanza di così tanto tempo noi siamo ancora convinti che un lungometraggio del genere sia rimasto un unicum nella storia della celluloide.

(Paolo Chemnitz)

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