5 Corpi Senza Testa

di William Castle (Stati Uniti, 1964)

William Castle è stato un piccolo grande regista, piccolo perché ha sempre lavorato con budget esigui, grande perché ha saputo spesso trasformare in oro le sue poche risorse a disposizione. Merito della sua inventiva, della sua fantasia e di alcuni espedienti promozionali che nel tempo lo hanno reso uno dei personaggi chiave del cinema povero degli anni cinquanta e sessanta. Così, mentre Alfred Hitchcock tirava fuori alcuni dei suoi capolavori, questo cineasta americano rispondeva consapevole sia dei propri limiti che delle proprie felici intuizioni. Tra i film che consigliamo, non possono mancare titoli come “La Casa Dei Fantasmi” (1959), “Homicidal” (1961) e questo più recente (si fa per dire) “5 Corpi Senza Testa”, conosciuto in patria come “Strait-Jacket”.
In questo thriller psicologico dai risvolti horror, la tematica della decapitazione è onnipresente: lo scopriamo fin dal suggestivo incipit, dove la voce di una donna (Carol) ci introduce i misfatti commessi dalla madre Lucy, capace di prendere un’ascia per compiere una carneficina nei confronti del marito e della sua amante (entrambi colti in flagrante). Dopo essere stata internata per tanti anni dentro un manicomio, Lucy ritrova la libertà andando a vivere nella fattoria del fratello e della cognata, dove ritroviamo anche una cresciuta Carol con il suo fidanzato. Presto però le turbe mentali che avevano contraddistinto il passato della protagonista riemergono senza pietà, tra cruenti omicidi (all’epoca lo splatter non era contemplato, ma le immagini tuttavia sono efficaci) e qualche indizio che ci prepara il terreno per un epilogo tanto scontato quanto inevitabile.
Nel 1964 questo tipo di cinema viveva ancora di spiegoni didascalici, dunque non possiamo farci nulla se qui William Castle lascia poco spazio alle deduzioni dello spettatore: ma va bene comunque, perché il film funziona lo stesso, così come i personaggi, interpretati a dovere soprattutto nei ruoli che contano (l’istrionica Joan Crawford nei panni di Lucy sbaraglia tutta la concorrenza). Convince anche questa location rurale, una fattoria dove si respira quell’aria da provincia americana legata ancora alle vecchie tradizioni (i polli decapitati o la stessa Lucy presentata come “una donna nata e cresciuta in campagna. Genitori contadini. Istruzione scarsa”). A proposito di decapitazioni, è praticamente cult l’immagine della statua della Columbia Pictures che appare nei titoli di coda priva della testa.
Per il regista californiano, il vero successo si materializzerà soltanto nel 1968 con la produzione di “Rosemary’s Baby”, un salto di qualità dal punto di vista professionale che purtroppo diede anche il via al declino psico-fisico di Castle (la cui morte è avvenuta nel 1977). Ma i suoi trascorsi registici almeno in questa sede non ce li dimentichiamo affatto, ecco perché “5 Corpi Senza Testa” lo raccomandiamo caldamente nel caso non l’abbiate mai visto: è un film macabro, isterico e allucinato, baciato persino da una splendida fotografia in b/n. Amore e odio nel cuore di un piccolo microcosmo familiare.

(Paolo Chemnitz)

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