
di Earl Barton (Stati Uniti, 1975)
Negli anni settanta il cinema poteva permettersi proprio di tutto, persino un titolo come “Stupro Selvaggio” (questa denominazione italiana è per giunta fuorviante, visto che la violenza carnale è consumata fuori campo e non rappresenta affatto il fulcro della pellicola). Immaginatevi dunque un b-movie di quelli davvero beceri, dove il politicamente corretto va a farsi benedire fin dai dialoghi, questo è “Trip With The Teacher”, un prodotto underground forse dimenticato troppo in fretta.
Un pulmino abbastanza malridotto viaggia nel deserto americano alla volta di una riserva Navajo oggetto di ricerche: a bordo, oltre all’autista, troviamo anche una professoressa insieme a quattro giovani studentesse (tutte molto carine a piuttosto emancipate). Su quelle strade bollenti e polverose girano però tre biker, tra cui lo strambo Al (i suoi occhiali sono qualcosa di allucinante), uno psicopatico capace subito di uccidere un povero vecchietto per futili motivi (la scena nel distributore di benzina è tra le migliori del film). Presto per le ragazze il destino diventa beffardo, poiché il pulmino si ferma per un guasto nel bel mezzo del nulla, dove guarda caso i primi a passare sono proprio i tre motociclisti.
Sotto alcuni aspetti questo “Trip With The Teacher” sembra una pellicola di Wes Craven, anche per via di un sadico criminale capace di commettere qualsiasi tipo di atto spregevole (l’attore Zalman King non è certo David Hess, però non mancano i punti in comune tra i due). Tuttavia in questo caso di sangue ne vediamo pochissimo, il regista Earl Burton (probabilmente per motivi di budget) punta infatti sulla tensione sessuale, sulle angherie a su una misoginia piuttosto esplicita (le protagoniste spesso sono chiamate puttane dai loro aguzzini). Tutto è abbastanza sciatto e poco curato, ma il fascino del cinema exploitation risiede anche nei suoi visibili difetti, come quel finale veramente osceno in cui tra mille sorrisi si minimizza il tutto con “è stata una brutta esperienza” (alla faccia dei morti ammazzati e delle umiliazioni sessuali!).
Quello che sulla carta voleva essere una sorta di rape & revenge cattivo e violento (sai che figata se lo avessero intitolato “L’Ultimo Cactus a Sinistra”!), alla resa dei conti risulta soltanto un lungometraggio incapace di lasciare il segno come alcuni dei suoi illustri predecessori: ciò però non deve trarre in inganno, perché parliamo pur sempre di un prodotto da drive-in, dove il ritmo non manca e ci si diverte con poco. Quentin Tarantino probabilmente lo adora, scommettiamo?

(Paolo Chemnitz)

Sì, diciamo che, fatto un po’ meglio poteva essere decente. Il finale poi è del tipo: massì non è poi andata malaccio dai, in fondo, un po’ di morti e il fatto che siamo sempre nel nulla, che sarà mai.
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