di Paul Solet (Stati Uniti/Canada, 2009)
Quella legata alla gravidanza è una delle tematiche più delicate in ambito estremo, soprattutto quando la spiccata sensibilità femminile è costretta a scontrarsi con delle immagini shock non sempre facili da mandare giù. Ciò non significa che per i maschietti sia meno doloroso sopportare un pancione preso a mattonate (“Proxy”) oppure gli orrori di un grembo materno sotto costante minaccia (“À L’Intérieur”), ma al di là dei succitati esempi, è abbastanza palese quanto sia semplice per questo tipo di pellicole giocare con il fuoco per colpire dritto allo stomaco. “Grace” rientra nella suddetta categoria, alternando horror e dramma psicologico in maniera alquanto disturbante.
Madeline Matheson (Jordan Ladd) aspetta una bambina, ma il futuro parto si trasforma in tragedia quando la donna resta vittima di un terribile incidente stradale in cui perde la vita suo marito Stephen: il feto è (sembra) morto, Madeline però vuole comunque dare alla luce quella creatura probabilmente esanime. Lo fa grazie all’aiuto di un’amica ostetrica, contrariamente al volere di una suocera insopportabile che già da tempo aveva cercato di pilotare quella gravidanza a suo piacimento. Grace per fortuna respira, nasce e cresce piuttosto velocemente, ma è chiaro fin da subito che non si tratta di una neonata come tante altre. La bimba infatti attira le mosche per il suo cattivo odore ma soprattutto si nutre solo di sangue, costringendo la mamma a un vero e proprio calvario personale. Un film dunque sull’amore materno spinto fino alle più tragiche conseguenze, fino all’autodistruzione completa.
Sono tutte donne le varie protagoniste dell’opera, figure messe costantemente in competizione tra loro in questi neppure novanta minuti di pellicola dove invece per gli uomini non c’è alcuna possibilità di interferire. Nonostante un’idea di base messa abbastanza a fuoco (il rapporto madre-figlia funziona bene), “Grace” poggia su una sceneggiatura tutt’altro che brillante, forse troppo dispersiva nel voler buttare in mezzo i tanti conflitti che intercorrono tra Madeline e le due signore di cui sopra (quello della suocera è un personaggio molto interessante che avrebbe meritato più spazio). Un prodotto dunque sfilacciato che si regge più che altro sulle singole scene (i capezzoli massacrati o il finale piuttosto esagerato) rispetto al flusso incostante di una narrazione non sempre lucida.
“Grace” mette anche a confronto le ossessioni di una mamma vegetariana con gli orrori di una bimba vampira, ennesimo aspetto di un lavoro capace di assestare degli ottimi colpi bassi ma allo stesso tempo privo di un vero e appassionante leitmotiv. Pur nella sua lampante mancanza di mezzi, almeno Larry Cohen nel 1974 cercava di non prendersi eccessivamente sul serio con il suo “Baby Killer”. Ma erano altri tempi e oggi Paul Solet non è certo un regista di quelli da ricordare, nonostante i non trascurabili investimenti della produzione (capitanata da Adam Green, già dietro la mdp per “Hatchet” e “Frozen”). Alla resa dei conti, “Grace” si vede e si dimentica piuttosto facilmente, tolte quelle due-tre fastidiose situazioni davvero degne di nota.
(Paolo Chemnitz)