di Henning Carlsen (Danimarca/Norvegia/Svezia, 1966)
C’è un po’ di Danimarca, un po’ di Svezia e un po’ di Norvegia in questa importante pellicola del 1966, diretta da un regista (Henning Carlsen) scomparso nel 2014 dopo aver lasciato più di un segno indelebile nella storia del cinema danese. L’attore protagonista del film è invece lo svedese Per Oscarsson, anch’egli morto di recente (nel 2010) e all’epoca premiato a Cannes proprio per questa sua eccelsa interpretazione. Infine passiamo alla Norvegia: “Sult” è stato girato a Oslo ed è ispirato all’omonimo romanzo di Knut Hamsun, famoso scrittore norvegese vincitore anche di un Premio Nobel per la letteratura. Una commistione dunque intrigante, per un’opera (realizzata in b/n) decisamente fuori dagli schemi.
Le vicende si svolgono nel 1890 in quella città che un tempo era chiamata Kristiania: Pontus è uno scrittore egocentrico sull’orlo della follia, costretto a girovagare per le strade in cerca di cibo e di qualcuno che possa pubblicare i suoi lavori. La telecamera segue come un’ombra la sua quotidianità, mettendo in luce un carattere altamente stravagante, grottesco e privo di ogni aggancio con la realtà. Pontus sembra infatti vivere fuori dal tempo (chiede sempre che ore siano), in un mondo senza punti di riferimento dove è facile cadere nei deliri causati dalla fame. Egli inoltre si pone davanti al prossimo in maniera arrogante, pur conservando una grande dignità attraverso un orgoglio che gli permette di nascondere (nel possibile) la sua sofferenza.
“Sult” (conosciuto anche con i titoli alternativi “Svält” oppure “Hunger”) è la fame che avanza, un bisogno che spesso collima con le decisioni scellerate del protagonista, incapace di dare un valore a quelle poche monete che egli riesce a racimolare: non è affatto automatico stabilire la giusta empatia con questo individuo, eppure la sua carica weird con il trascorrere dei minuti diventa a dir poco magnetica (la pellicola trasuda quei bagliori esistenziali riscontrabili anche nelle opere di Kafka o Dostoevskij). Ma al di là dei riferimenti letterari, quello di Henning Carlsen è un prodotto capace di apportare un notevole impulso a tutta quella scuola cinematografica di nordica provenienza, ponendosi quasi come una risposta più stramba e allucinata alle depressioni francesi di “Fuoco Fatuo” (1963), altro snodo cruciale indissolubilmente legato alla corrente esistenzialista di quel decennio.
Dal punto di vista narrativo non attendetevi chissà quale storia, “Sult” è soprattutto una ripetizione ciclica di situazioni che a lungo andare diventano sempre più problematiche e ossessive. Alla fine non resta che urlare “all is lost, ladies and gentlemen! All is lost!”, perché in fondo la vita di uno scrittore maledetto non è mai stata una passeggiata.
(Paolo Chemnitz)