di David Cronenberg (Canada/Stati Uniti, 1977)
“Rabid – Sete Di Sangue” prosegue quell’affascinante discorso già iniziato con il precedente “Shivers” (1975), insistendo ancora una volta su delle tematiche che all’epoca risultavano assolutamente all’avanguardia: malattie sessuali, vaccini, pandemie e una serie di pericoli incubati dall’uomo e non provenienti da una fonte esterna. Con il progresso scientifico spettatore attivo di tali orrori, poiché complice di una mutazione capace di propagarsi a macchia d’olio tra gli esseri umani (praticamente il cinema di Romero riletto attraverso gli occhi della post-modernità).
Nel ruolo della protagonista Rose troviamo una giovane attrice proveniente dal porno, Marilyn Chambers (scelta dalla produzione), celebre all’epoca per l’acclamato film a luci rosse “Behind The Green Door” (1972). In realtà David Cronenberg avrebbe voluto al suo posto la graziosa Sissy Spacek, ma alla fine egli rimase favorevolmente impressionato dalla bravura della Chambers (in effetti se la cava egregiamente). Nonostante ciò, c’è una scena del film in cui il regista cita ironicamente l’occasione sfumata, perché alle spalle di Rose compare una locandina di “Carrie” (1976), opera indimenticabile di Brian De Palma in cui recita proprio la Spacek.
Pur non avendo uno spiccato sviluppo narrativo (la storia alla lunga diventa un po’ ripetitiva), “Rabid” è una pellicola che riesce a coinvolgere per tutta la sua durata (i classici novanta minuti). Il merito è dello stesso Cronenberg, qui ancora grezzo ma decisamente capace di saper gestire al meglio un materiale non di primissima qualità: al centro delle vicende c’è Rose, una ragazza reduce da un terribile incidente motociclistico la quale viene immediatamente ricoverata all’interno di una clinica dove opera il Dottor Keloid, un medico che (guarda caso) sta cercando una cavia per i suoi esperimenti di trapianto cutaneo. L’intervento riesce, ma quando la giovane si risveglia dal coma, per sopravvivere deve succhiare il sangue e lo fa attraverso un’escrescenza di carne che le spunta sotto l’ascella. L’infezione ha inizio, poiché tutte le vittime di Rose diventano a loro volta degli zombi (termine da prendere con le molle) a caccia di altri uomini da infilzare con questo fallo alternativo.
“Rabid” è giustamente considerato un film minore tra quelli realizzati dal regista canadese durante gli anni settanta (lo stesso “Shivers” risulta più riuscito sotto molti punti di vista), ma si tratta comunque di un passaggio obbligato del suo cinema: ritroviamo infatti quella tensione latente carica di ansia apocalittica, poi c’è il body horror come elemento essenziale e metafora della condizione umana, senza infine dimenticare quel pessimismo latente qui capace di esplodere in un finale nero come la pece (palese è il riferimento a “La Città Verrà Distrutta All’Alba”). David Cronenberg dimostra dunque di essere più un precursore che un follower, perché citazioni a parte per Romero, il suo approccio si apre davvero al futuro, a quelle paure che oggi praticamente fanno parte della nostra cronaca quotidiana. C’è un virus che si nasconde silenziosamente dentro di noi, per poi uscire allo scoperto mettendo in pericolo un’intera comunità, un mostro (sessuale) che da lì a poco comincerà a manifestarsi nei meandri più oscuri della mente (“The Brood”). “Rabid” è un film senza tempo, questo è poco ma sicuro.
(Paolo Chemnitz)