di Marcel Sarmiento (Stati Uniti, 2008)
Solitamente i titoli più deviati e aberranti legati al cinema estremo vengono ricordati da tutti, nel bene o nel male. Quello che invece non è mai accaduto a “Deadgirl”, film del 2008 piuttosto snobbato per non dire dimenticato anche dai più attenti appassionati del genere. In effetti la pellicola diretta da Marcel Sarmiento (coadiuvato in regia da Gadi Harel) non è di certo imprescindibile, un peccato considerando un soggetto molto interessante in cui vengono anticipate alcune situazioni di confine che abbiamo poi ritrovato (con diverse modalità) in opere ben più riuscite come “The Woman” (2011), “Miss Zombie” (2013) o “The Corpse Of Anna Fritz” (2015).
I protagonisti delle vicende sono due studenti piuttosto antipatici (Rickie e JT), i quali una mattina decidono di saltare le lezioni per andarsene a spasso nel vecchio manicomio abbandonato della città. Una volta lì dentro, i giovani finiscono nei sotterranei della casa di cura, dove trovano un lettino su cui è distesa e incatenata una donna in pessime condizioni di salute: praticamente un essere mostruoso che scatena le fantasie sessuali del sadico JT, al contrario di Rickie, intenzionato ad aiutare quella ragazza. Presto però scopriamo che in realtà la vittima è una specie di zombie girl resistente a tutto, persino alla morte, una peculiarità che la rende immune a qualsiasi tipo di violenza (sessuale e non).
L’aspetto più interessante delle vicende è il capovolgimento di fronte tra esseri umani e zombi, perché in questo caso il mostro diventa la vittima mentre dei giovani idioti tirano fuori tutto il peggio del repertorio di scuola homo sapiens, in un crescendo piuttosto inquietante di misoginia e di cattiveria gratuita. Le scene di stupro sono davvero malsane, perché implicano la più cruda necrofilia scivolando spesso in qualcosa di disgustoso, un orrore che mette a nudo la bassezza di questi individui con cui è impossibile stabilire una connessione mentale. Lo splatter inoltre non manca, anche se è mostrato in maniera molto superficiale (forse per limiti di budget).
Cosa c’è allora che non funziona in “Deadgirl”? Quasi tutto il resto, a cominciare dalla mediocre recitazione dei vari protagonisti fino al rapporto ambiguo tra gli stessi, segnato per giunta dai casini sentimentali di Rickie, i cui problemi sono più volte buttati nella mischia per cercare di dare profondità psicologica al suo personaggio comunque monodimensionale. Quello che alla fine resta sul piatto è un prodotto di base valido ma insufficiente nello sviluppo: va bene lo squallore morale di queste nuove generazioni, va bene l’idea di un’entità selvaggia elevata ad agnello sacrificale, ma dopo questi cento minuti di visione non è difficile avvertire un senso di vuoto, come se la metafora di cui sopra non bastasse ad arginare le falle strutturali del film. Solo per completisti malati dell’estremo.
(Paolo Chemnitz)