di Natalie Erika James (Australia, 2020)
Ancora non sappiamo se Natalie Erika James sarà in grado di ripercorrere le stesse orme della sua quotata connazionale Jennifer Kent (“The Babadook”, “The Nightingale”), ma una cosa è certa, l’esordio di questa regista stanziata a Melbourne è un lavoro di tutto rispetto capace di spingersi al di là dei soliti quattro stereotipi riscontrabili negli horror sovrannaturali contemporanei. “Relic” (ovviamente da non confondere con l’omonimo film di Peter Hyams) è infatti una pellicola coraggiosa, di quelle che ti ripagano degnamente nel finale dopo una lunga fase preparatoria in cui succede veramente poco.
L’opera è interamente nelle mani di tre (brave) attrici, Robyn Nevin (Edna, la nonna), Emily Mortimer (Kay, la mamma) e la giovane Bella Heathcote (Sam, figlia e nipote). Quando Edna sparisce misteriosamente dalla sua villetta nel bosco, Kay e Sam si precipitano in quella casa per capire che fine abbia fatto quella vecchietta solitaria ormai difficile da gestire: nel frattempo alcuni segnali inquietanti si manifestano durante le loro giornate di attesa, tra rumori sinistri provenienti dalle pareti e quelle macchie di muffa che rappresentano l’elemento perturbante (un po’ come l’acqua in “Dark Water” di Hideo Nakata). Edna a un certo punto riappare, ma sembra logorata dalla demenza senile e da qualcosa di oscuro che dimora nel ventre marcio di quell’abitazione.
Per quasi un’ora di visione, Natalie Erika James dissemina il percorso di indizi e di cattivi presagi, lavorando molto di più sulla realtà (la malattia di Edna) che sugli aspetti puramente sovrannaturali del film. Questa cottura a fuoco lento è gestita abbastanza bene e ricorda per certi versi l’approccio flemmatico ma mai noioso di Ti West (pensiamo a “The Innkeepers”), prima che atterri sullo schermo un cupo epilogo di almeno trenta minuti, un crescendo di terrore che spaventa, disorienta e si permette anche di regalarci un finale piuttosto malsano.
“Relic” è una pellicola in cui la morte è onnipresente, un’entità che consuma la carne e la mente trasmettendosi inesorabilmente di generazione in generazione (la scena dell’anello), come in un ineluttabile passaggio di consegne: da qui la scelta di tre donne consanguinee, la nonna la figlia e la nipote, tutte destinate prima o poi ad affrontare il lato oscuro della vita (simboleggiato dal ribaltamento della casa, da quei cupi corridoi che vengono contrapposti al tepore diurno del soggiorno). Il plot non è originalissimo, Natalie Erika James è però intelligente nel saperlo sviluppare tenendo saldamente in mano la narrazione e osando con il giusto spirito horror in quei minuti conclusivi di puro e raccapricciante delirio. Davvero una piacevole sorpresa.
(Paolo Chemnitz)