di William Friedkin (Stati Uniti, 2011)
Se è vero che “Killer Joe” esce in un periodo in cui diventa quasi automatico il paragone con le opere di Quentin Tarantino o dei fratelli Coen, bisogna comunque rimarcare il fatto che il regista non è certo un pivello sbucato da chissà dove: William Friedkin nasce prima di tutto come esponente della New Hollywood, dunque un innovatore ma soprattutto un personaggio capace di adeguarsi perfettamente alle varie epoche incontrate sul percorso. Ecco perché “Killer Joe” (come tanti altri suoi film) sembra davvero girato ieri, una constatazione che aumenta di valore considerando che Friedkin realizzò questa pellicola alla veneranda età di settantacinque anni.
L’impianto della storia poggia sul classico connubio thriller-noir e si basa sull’omonimo lavoro teatrale di Tracy Letts, qui anche sceneggiatore. Siamo nel profondo Texas (ovvio!), dove il giovane spacciatore Chris Smith si ritrova nei guai per aver contratto un grosso debito con un boss locale. Per Chris l’unica soluzione è quella di uccidere la madre, in modo tale da intascare un’assicurazione sulla vita che in realtà finirebbe tra le mani di Dottie, la svampita sorella minore del ragazzo. Il piano comunque prende forma: con la complicità dell’ottuso padre Ansel e dell’opportunista matrigna Sharla, Chris contatta un poliziotto piuttosto squilibrato che nella seconda vita fa il killer di professione, Joe Cooper (Matthew McConaughey), un mezzo psicopatico che diventa subito molto intimo della giovane Dottie (utilizzata da questa famiglia come caparra sessuale per garantire un anticipo all’uomo!). Questo omicidio su commissione si rivela però fallimentare, non tanto per le intenzioni di Killer Joe, quanto per i vari intrighi e inghippi che mettono a nudo la pochezza umana di questi infimi individui.
Scommetto che quelli che hanno già visto questo film lo ricordano soprattutto per lo scoppiettante finale, un epilogo baciato da tanta violenza e da quel colpo di genio che corrisponde alla scena del pollo fritto: senza entrare troppo nei particolari, una sequenza così weird ma allo stesso tempo così umiliante nei confronti di una donna era da tempo che non si vedeva sul grande schermo.
“Killer Joe” è un film dal carattere scintillante, una pellicola senza pause dove l’incastro tra i vari personaggi funziona alla perfezione, tra dialoghi politicamente scorretti e una feccia disfunzionale dalla quale è impossibile salvare qualcuno (William Friedkin è un bravo direttore d’orchestra e gli attori eseguono con grande bravura). Seppur a tratti declinato verso la commedia nera, questo lungometraggio è talmente lurido e disperato da non ammettere alcun timido sorriso: il Texas di “Killer Joe” è infatti un mondo popolato da individui ottusi, da cinici approfittatori, da omuncoli senza speranza aggrappati a un’improbabile botta di culo. Quanto disagio e quanta depravazione, viva Friedkin e viva il suo cinema sempre ricolmo di contorta energia.
(Paolo Chemnitz)