Gyo: Tokyo Fish Attack

gyo tfadi Takayuki Hirao (Giappone, 2012)

I manga di Junji Itō sono crudeli, raccapriccianti, malsani e bizzarri, una fonte inesauribile di idee e di contenuti per il cinema horror giapponese contemporaneo. Oltre ad aver ispirato una manciata di film piuttosto apprezzati dai suoi fan (tra i quali ricordiamo la lunga serie dedicata a “Tomie” oppure il weirdoUzumaki”), il lavoro di Itō ha dato il via alla realizzazione di un anime a dir poco controverso, “Gyo: Tokyo Fish Attack”, una storia decisamente malata dove il body horror diventa il motore principale di una disgustosa mutazione che riguarda sia i pesci che gli esseri umani.
Kaori, Erika e Aki sono tre amiche in vacanza sull’isola di Okinawa: il rientro nella loro abitazione non è dei migliori, un tanfo di putrefazione si è infatti impossessato di quella casa e presto scopriamo anche il perché. Una strana creatura (un pesce munito di zampe!) sta correndo sul pavimento e non serve a nulla schiacciarlo contro una parete, là fuori c’è un esercito di mostri pronto a invadere ogni città, il preludio per una vera e propria apocalisse ittica. Nonostante le difficoltà (e le prime trasformazioni), Kaori decide di far ritorno a Tokyo, dove vive il suo fidanzato Tadashi e dove la situazione non è per nulla migliore.
Il regista Takayuki Hirao non segue pedissequamente le vicende illustrate nel manga, deviando spesso su altri personaggi come ad esempio quello del reporter Shirakawa, conosciuto da Kaori nel suo viaggio verso Tokyo. La sceneggiatura, qui più dispersiva, tende a sfilacciarsi durante la parte centrale, abbassando la media generale di un prodotto comunque intrigante, soprattutto per l’incredibile mole di scene repellenti che vedono protagonisti questi esseri orripilanti (se poi cercate altro, c’è pure un threesome buttato a caso tra una delle ragazze e due tizi del posto!). La tecnica di realizzazione è discreta, anche se si potevano gestire meglio alcune sequenze digitalizzate in cui vengono mostrati centinaia e centinaia di pesci-aracnidi tutti in una volta.
“Gyo” risulta dunque un anime più che dignitoso ma ben lontano dalla potenza visiva del manga, un lavoro nel quale il bianco e nero di Junji Itō lascia filtrare un odore di morte ancora più penetrante e nauseabondo rispetto alla trasposizione in esame. Tuttavia addentrarsi direttamente nella visione del film può aiutare lo spettatore a bypassare qualsiasi scomodo termine di paragone, aggirando così i piccoli difetti e le poco credibili variazioni sul tema: scegliete voi, tanto in entrambi i casi di ributtante carne al fuoco ne abbiamo parecchia.

3

(Paolo Chemnitz)

gyotfa

 

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