A Page Of Madness

a page of madnessdi Teinosuke Kinugasa (Giappone, 1926)

Non eravamo mai andati così indietro nel tempo per quanto riguarda le pellicole orientali, ma se oggi siamo qui a parlarvi di “A Page Of Madness” (“Kurutta Ippêji”), un buon motivo c’è: siamo infatti davanti a un capolavoro (non sempre ricordato a dovere) del cinema muto giapponese, un film creduto disperso fino al 1971 e poi miracolosamente ritrovato dallo stesso regista Teinosuke Kinugasa. Un’opera sperimentale, di pura avanguardia, capace di anticipare non solo alcune successive visioni di marca nipponica, ma il cinema estremo tutto (Lynch incluso).
Ci troviamo all’interno di un manicomio, dove un uomo che lavora lì da poco cerca inutilmente di far evadere la moglie, ricoverata tra quelle mura dopo aver annegato il proprio figlioletto. Quella di Kinugasa è chiaramente una critica aperta al dramma dell’internamento (il soggetto prende ispirazione da un racconto di Yasunari Kawabata), una reclusione vissuta da questi individui attraverso esperienze terrificanti: incubi che diventano parte attiva del linguaggio estetico del film, in cui distorsioni, sfocature, la doppia esposizione della pellicola e altri effetti ottici deformanti completano un panorama già inquietante in partenza. Poi ci sono quelle maschere incastonate in un eterno rincorrersi di sbarre, di serrature e di corridoi che alimentano a dismisura il senso di paura e di smarrimento dei vari protagonisti.
a2Realizzato in poche settimane e con un budget ridotto all’osso (non a caso le cronache ci raccontano che Kinugasa fece dipingere le pareti del luogo di color argento, in modo tale da aumentare la luce riflessa), “A Page Of Madness” è la pazzia al servizio del surrealismo e viceversa, un prodotto possibilmente da assaporare a crudo aggirando persino la versione rimaneggiata a cui è stato aggiunto uno score musicale: ricordiamo infatti che questo tipo di opere non prevedevano l’utilizzo delle didascalie, in quanto negli anni venti le sale giapponesi potevano contare su un narratore (detto benshi) addetto a tale compito. Tutto questo pregiudica in parte la comprensione di alcune scene, ma non deve assolutamente compromettere la visione di una pietra miliare del cinema finalmente riconosciuta. Un manicomio in cui nessuno vorrebbe mai mettere piede.

5

(Paolo Chemnitz)

a page of m

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...