The Woman Who Left

the woman who leftdi Lav Diaz (Filippine, 2016)

L’infinito minutaggio delle opere di Lav Diaz non deve rappresentare un ostacolo per gli appassionati di cinema, anche se per avventurarsi in questo tipo di pellicole è importante avere la mente sgombra e un lungo pomeriggio a disposizione. Stiamo parlando di uno dei registi più innovativi e coraggiosi del nuovo secolo, un autore ormai affermato a livello mondiale soprattutto dopo la vittoria a Venezia del 2016, anno di grazia in cui esce questo “The Woman Who Left” (“Ang Babaeng Humayo”). Siamo al cospetto di un prodotto tra i meno impegnativi (si fa per dire) della lunga filmografia di Diaz, neppure quattro ore di durata che diventano una passeggiata al confronto della media generale di sei-sette ore vista in altre opere del regista.
“The Woman Who Left” prende ispirazione (alla lontana) dal breve racconto di Lev Tolstoj “Dio Vede Quasi Tutto, Ma Aspetta”, spostando l’azione dalla Siberia a una zona rurale delle Filippine: Horacia (Charo Santos-Concio) ha trascorso trent’anni rinchiusa in un penitenziario femminile per un omicidio che non ha mai commesso, fino al giorno in cui il vero assassino confessa il misfatto garantendo alla donna la possibilità di tornare a essere libera. Horacia vuole però mantenere il riserbo sulla sua scarcerazione, mettendosi sulle tracce dei suoi cari senza comunque scomodare la giustizia o qualche avvocato per ottenere un risarcimento. Quello della protagonista è infatti un percorso nel tempo (perduto), un viaggio esistenziale alla riscoperta della propria identità e di un paese sconvolto dalla corruzione e dai sequestri di persona (Lav Diaz ambienta le vicende nel 1997). Attraverso l’incontro con altri individui emarginati dalla società, Horacia scorge il suo riflesso, vittima tra le vittime in un luogo dominato dal potere istituzionale e non (una presenza marginale che tuttavia possiamo percepire costantemente durante la visione del film). Nonostante ciò, la donna comincia a maturare un sentimento di vendetta contro l’uomo che l’aveva fatta incarcerare tanti anni prima.
Inquadrature fisse e lunghi piani sequenza dominano la visione di “The Woman Who Left”, un film che solo al terzo giro di lancetta si concede per qualche minuto l’utilizzo della camera a mano: tutto il resto poggia su un linguaggio estetico scarno ed essenziale, dove basta la pallida luce di un lampione per illuminare le strane notti di Horacia e delle persone attorno a lei (tra le quali spicca la figura del trans epilettico Hollanda). Sono proprio questi individui a trainare la pellicola di Diaz, figure talmente cariche di umanità da risultare ancora più pure e drammatiche, esattamente come la nostra protagonista (una donna che anche negli anni della detenzione si era messa a disposizione per aiutare il prossimo). Il regista filippino si schiera dunque dalla parte dei più deboli, mettendo a fuoco le loro emozioni, la loro forza e la loro miseria con grande dignità e sensibilità.
“The Woman Who Left” ribadisce la potenza vitale del cinema di Lav Diaz, un percorso libero da convenzioni e da vincoli spazio-temporali. L’unico appiglio è storico ma serve esclusivamente per contestualizzare la quotidianità di Horacia e la fragilità di chi le sta attorno: uomini e donne che possono sparire da un momento all’altro, maschere invisibili e impalpabili poiché risucchiate dalla strada. Forse anche per questo motivo, percepiamo una maggiore energia in quelle scene iniziali girate all’interno del riformatorio, un posto dove il tempo esiste (trent’anni), al contrario di quanto accade nei non-luoghi dove gli esseri umani si trascinano a fatica alla ricerca di qualcuno o di qualcosa.

4,5

(Paolo Chemnitz)

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