Un Abito Da Sposa Macchiato Di Sangue

un abito da sposa macchiato di sanguedi Vicente Aranda (Spagna, 1972)

Se durante i primi anni settanta il franchismo inizia a mostrare dei vistosi segni di cedimento, il cinema fantastico spagnolo vive proprio in questo periodo la sua stagione del boom, cominciando a proporre titoli sempre più audaci alla faccia della censura. “Un Abito Da Sposa Macchiato Di Sangue” (“The Blood Splattered Bride” oppure “La Novia Ensangrentada” nel suo titolo originale) riesce comunque a far incazzare qualcuno, un po’ per via di alcuni nudi integrali mostrati sullo schermo, un po’ per colpa di qualche scena splatter decisamente all’avanguardia per l’epoca. Fortunatamente l’edizione home video curata dalla Blue Underground ci ha permesso di recuperare questa pellicola nella sua versione uncut, un piacere per tutti gli amanti del cinema exploitation.
Quella di Vicente Aranda è una rilettura personale di “Carmilla”, il celebre racconto gotico scritto da Sheridan Le Fanu: un soggetto interessante stravolto in chiave femminista, dove al centro delle vicende viene messa la storia dell’ingenua Susan (Maribel Martín), una ragazza fresca di matrimonio. Susan è turbata e allo stesso tempo attratta dai segreti dell’erotismo che il marito (molto più anziano di lei) cerca di svelarle, ma c’è qualcosa di inquietante che mina quotidianamente la sua tranquillità, poiché una donna di nome Mircalla le appare spesso in visione, ricordandole di un omicidio compiuto duecento anni prima proprio durante la prima notte di nozze. Presto l’aspetto onirico inizia a confondersi con la realtà, minando il rapporto stesso tra i due sposi, fino al tragico e nero epilogo.
Al di là di una sceneggiatura molto farraginosa e non priva di momenti di stanca, “Un Abito Da Sposa Macchiato Di Sangue” si rivela un prodotto discreto per la media dell’epoca, soprattutto se pensiamo alle atmosfere e alle scenografie (ben curate e fin troppo cupe). Questo film riesce a regalarci persino qualche momento surreale (Mircalla che emerge dalla sabbia), nonostante sia ancora forte il legame con la proficua stagione del gotico appena trascorsa: praticamente un passo in avanti e uno indietro, nel tentativo (non sempre a buon fine) di smarcarsi dalla pesante eredità del cinema horror degli anni sessanta.
I buoni sono quelli che si accontentano di sognare ciò che effettivamente fanno i cattivi”, con questa frase di Platone si apre un’opera che mette subito in chiaro le sue intenzioni, una chiave onirica tutto sommato intrigante anche per via dei vari risvolti torbidi e pruriginosi. “Un Abito Da Sposa Macchiato Di Sangue” non è invecchiato proprio bene, ma si difende ancora oggi con estrema dignità all’interno di una scuola iberica che solo attraverso il cinema poteva ribellarsi all’oppressione di una dittatura. Il risveglio di una coscienza qui espresso attraverso la controversa parabola di Susan.

3

(Paolo Chemnitz)

un abito da sposa (controllare)

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