di Bertrand Mandico (Francia, 2017)
“To be incoherent means to have faith in cinema, it means to have a romantic approach, unformatted, free, disturbed and dreamlike, cinegenic, an epic narration”. Nel 2012 Bertrand Mandico crea insieme alla regista islandese Katrin Olafsdottir l’Incoherence Manifesto, a voler suggellare un particolare linguaggio cinematografico già espresso attraverso una serie di cortometraggi sperimentali. Un processo che continua a esprimersi ancora oggi con estremo vigore, non a caso il regista francese è già al lavoro su un nuovo film dopo la recente realizzazione di tre videoclip per gli M83. “Les Garçons Sauvages” è invece il suo primo lungometraggio, due ore scarse in cui assistiamo all’esplosione assoluta del Mandico pensiero, idee stravaganti nelle quali la fantasia viene messa al servizio di un background culturale assolutamente ricco di sfumature.
Dopo aver commesso un feroce crimine, cinque adolescenti di buona famiglia vengono processati e mandati a espiare i loro peccati sull’isola di La Réunion: questa rieducazione inizia sul vascello sul quale viaggiano i ragazzi, una barca fatiscente comandata da un vecchio e rude capitano olandese. Una volta giunti a destinazione, scopriamo assieme ai protagonisti i misteriosi segreti di questo luogo lussureggiante, un posto capace di sconvolgere e trasformare non solo la mente ma anche il fisico delle persone (“he’s become a girl. A girl with tits and a little pussy”).
Come ammesso dallo stesso Mandico, in “Les Garçons Sauvages” rivivono le più disparate influenze cinematografiche e letterarie, dall’immancabile romanzo “Il Signore Delle Mosche” di William Golding fino al retaggio culturale di registi scomodi ma fondamentali come Walerian Borowczyk (impossibile non pensare a “Goto, L’Isola Dell’Amore”), Rainer Werner Fassbinder (le sequenze finali rimandano direttamente a “Querelle”) o Shûji Terayama (nell’utilizzo del colore, qui sapientemente alternato al b/n). La lista potrebbe continuare ancora, ma ci limitiamo soltanto a segnalare una notevole colonna sonora che cita persino la nostra Nora Orlandi e il suo score utilizzato per “Lo Strano Vizio Della Signora Wardh” (1971) di Sergio Martino.
Quello che in apparenza può sembrare un minestrone senza capo né coda, in verità è un prodotto assemblato con grande cura per i dettagli, un’avanguardia weird dove l’avventura acquista i più disparati significati simbolici: “Les Garçons Sauvages” non è il solito coming of age, ma è un rituale di passaggio pregno di derive surreali, al fine di superare i limiti imposti dalla nostra società. Ecco perché i cinque giovanotti sono interpretati da altrettante ragazzine (le attrici sono molto credibili), l’obiettivo principale di Bertrand Mandico è infatti quello di spiazzare lo spettatore catapultandolo all’interno di un mondo non convenzionale, in cui l’erotismo si mescola all’esoterismo abbattendo prima di tutto le distinzioni di genere. Il viaggio solcando il mare in tempesta diventa dunque un ponte che proietta l’essere umano verso una continua metamorfosi, una trasformazione che si materializza su quest’isola del piacere (terreno fertile dove il regista sfoga tutta la sua immaginazione). “Les Garçons Sauvages” non è un film per tutti, sia chiaro, ma una volta catturato il mood del lavoro, è difficile non restare ammaliati dalla controversa magia delle immagini. Davvero notevole.
(Paolo Chemnitz)