di Emilio Miraglia (Italia/Germania Ovest, 1972)
Della carriera di Enrico Miraglia (1924-1982) ricordiamo soprattutto i due gialli realizzati durante il periodo d’oro del genere, l’acerbo “La Notte Che Evelyn Uscì Dalla Tomba” (1971) e il più ambizioso “La Dama Rossa Uccide Sette Volte” (diretto immediatamente dopo). Miraglia in questo caso può contare su un cast più importante (c’è Barbara Bouchet ma troviamo anche l’attore di teatro Ugo Pagliai) e su una location molto suggestiva, tra castelli gotici e paesaggi tipici del Baden-Württemberg.
Il salto di qualità lo si intuisce fin dall’incipit del film, uno dei più belli di quell’epoca: due sorelline cominciano a litigare poiché una sottrae una bambola all’altra, la telecamera inizia così a inseguirle prima nel giardino e poi nei corridoi del castello dove vivono, fino a quando il nonno le ferma evitando che accada qualche fatto spiacevole. In quella grande stanza c’è infatti un quadro piuttosto inquietante che sembra influenzare il comportamento di quelle bambine, un dipinto macabro che raffigura una donna mentre accoltella la sorella. La storia risale al secolo precedente, quando una dama in rosso era apparsa per compiere una serie di omicidi, sette in tutto, un episodio destinato a ripetersi ogni cento anni proprio tra quelle mura. Tale data oggi si avvicina e nulla si può fare per impedire una nuova carneficina.
“La Dama Rossa Uccide Sette Volte”, seppur incastonato all’inizio dei 70s, è un film che non rinuncia affatto a pescare dal decennio precedente: lo sviluppo tipicamente giallo dell’opera viene infatti affiancato dalle classiche atmosfere del gotico italiano, con più di un rimando al cinema di Mario Bava. Il regista sfrutta abbastanza bene questa prerogativa, capace di accerchiare lo spettatore all’interno di una cornice a tratti inquietante (le scene nei sotterranei lasciano il segno). C’è ancora qualcosa di positivo da rimarcare, perché questa pellicola può anche contare su buone scenografie, sul valido score musicale curato da Bruno Nicolai e su un paio di sequenze sanguinose degne di nota (soprattutto quella del cancello).
Perché allora assegniamo soltanto una sufficienza abbondante a questo film, senza magari aggiungere una mezza stellina in più? Semplice, la colpa è di una sceneggiatura davvero contorta e di un epilogo per nulla convincente, un caos che non permette all’opera di elevarsi al di sopra di altri titoli del periodo. “La Dama Rossa Uccide Sette Volte” vive dunque di intense e improvvise fiammate inserite all’interno di un plot poco lucido e fin troppo aggrovigliato su se stesso. Per gli appassionati del cinema di genere di italica provenienza si tratta comunque di un titolo degno di visione (meglio ancora un ripasso per approfondire), ma i miracoli sono ben lontani e bisogna accontentarsi delle impennate di cui sopra per dare un senso a tutto il film.
(Paolo Chemnitz)
Molti di questi film finivano un po’… così, con gli ultimi 10-15 minuti dove non si spiegava molto. e ti lasciavano perplesso. Forse era voluto? Forse finivano i soldi? Tu però vedevi la scritta fine e dicevi “Ma come? E’ finito così?”
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