Il Settimo Continente

dskdi Michael Haneke (Austria, 1989)

Michael Haneke ha ormai quarantasei anni quando dirige il suo primo lungometraggio per il cinema, un’età che gli permette di osservare la realtà con maggiore lucidità e consapevolezza. Ne esce fuori uno dei suoi film più asciutti e freddi mai realizzati, il capitolo iniziale della celebre trilogia della glaciazione che il regista completerà con i successivi “Benny’s Video” (1992) e “71 Frammenti Di Una Cronologia Del Caso” (1994). Ma l’aspetto principale che emerge tra questi fotogrammi è legato alla dura critica antiborghese, un leitmotiv che accompagnerà molte opere di Haneke fino ai giorni nostri.
Seguiamo le vicende quotidiane di una famiglia composta dal padre Georg, dalla madre Anna e dalla figlia Eva, una routine che si concentra sugli aspetti più banali della loro esistenza. Queste azioni ripetitive (divise in tre epoche temporali distanziate di un anno) lasciano trasparire un malessere strisciante che non trova alcuna spiegazione, uno strano sentore che si manifesta attraverso cene pregne di angoscia e tensione, pianti isterici e la finta perdita della vista da parte della piccola Eva. C’è comunque un piano dietro tutto questo: la famiglia ha infatti chiuso il conto in banca e si prepara a partire per l’Australia, anche se in verità i tre si chiudono dentro casa cominciando la loro opera di autodistruzione, la quale contempla un finale tragico che suggella tale comportamento.
“Il Settimo Continente” (“Der Siebente Kontinent”) è fin troppo schematico e programmato nel suo iter (anti)narrativo, ma il percorso a imbuto seguito dal regista è una via a senso unico che segna un totale processo di irreversibilità: un’esperienza ermetica necessaria per cercare la chiave attraverso la quale è possibile conoscere il Michael Haneke mente pensante prima che regista. Un cinema dunque concettuale che trova la sua forza nei dettagli, un prodotto destinato a lasciare dei segni profondi nelle scene in cui viene letteralmente devastata l’abitazione di questa famiglia, anche qui con una meticolosità che rispecchia esattamente le intenzioni della pellicola. Le immagini con i pesci che si dibattono morenti sul pavimento o quelle con le banconote che vengono infilate con energia nel water sono molto più estreme di tanto sangue che si vede in altri film, perché la missione di Haneke è soprattutto quella di dar fastidio al pubblico, facendolo persino infuriare davanti allo spreco immotivato di denaro contante (lo stesso regista ha raccontato che alcuni spettatori hanno abbandonato la sala proprio durante queste sequenze).
Cinema della provocazione? Sicuramente sì, perché questo attaccamento al mondo materiale denota un’attenzione chirurgica per il superfluo, non a caso la borghesia si nutre spesso di un accumulo di risorse che degenerano in follia, qui ovviamente portata alle estreme conseguenze. Seppure la visione de “Il Settimo Continente” sia piuttosto snervante, la cattiveria maniacale insita tra queste immagini vale da sola il prezzo del biglietto. Uno shock glaciale.

4

(Paolo Chemnitz)

dskont

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