di Sean S. Cunningham (Stati Uniti, 1980)
Esiste una celebre icona del cinema horror che è esplosa nel corso del tempo e non immediatamente, parliamo di Jason Voorhees, un vendicatore (quasi) invisibile nel primo storico capitolo di “Venerdì 13” (“Friday The 13th”). A differenza di altri personaggi come Leatherface o Michael Myers, Jason viene costruito sequel dopo sequel attraverso vari aspetti legati sia al mondo del sovrannaturale che a un’immagine ben definita (ricordiamo che solo da “Venerdì 13 Parte III: Weekend Di Terrore” il nostro villain comincia a indossare la famosa maschera da hockey). In questo caso è la saga a modellare il mito e non il singolo film, come invece era accaduto per pellicole come “Non Aprite Quella Porta”, “Halloween” o per il successivo “Nightmare” (i cui seguiti aggiungono ben poco alla figura del protagonista psicopatico). Anche per questo motivo, confrontandolo con i succitati capolavori, “Venerdì 13” ne esce praticamente ridimensionato, nonostante la sua indiscutibile importanza per lo sviluppo dei famigerati slasher di matrice 80s.
La trama del film è ben salda alla realtà, la storia infatti verte su un gruppo di studenti universitari (tra cui un giovanissimo Kevin Bacon) che nel 1979 si reca per lavorare a Camp Crystal Lake, un campeggio anni prima teatro di spiacevoli vicende: il luogo, considerato maledetto, fu chiuso dopo che un ragazzino di nome Jason morì annegato per colpa di alcuni bulli, senza che gli animatori avessero fatto nulla per salvarlo. Due di loro però furono assassinati da qualcuno, da una presenza che torna a manifestarsi proprio durante la riapertura di questo posto incontaminato sulle sponde di un lago.
Il regista Sean S. Cunningham ha in mano uno script tutt’altro che esaltante, il cui sviluppo ci inoltra senza tregua nei meandri del puro slasher movie, offrendoci una valida carrellata di omicidi (la mano di Tom Savini fa sempre la differenza) e un’atmosfera davvero suggestiva, capace di alzare a dismisura il livello di tensione soprattutto nelle sequenze che precedono le uccisioni. Il resto funziona abbastanza bene (la scena del serpente rimane ben impressa nella mente) ma siamo comunque lontani dal miracolo, compreso quel finale shock tutto sommato riuscito ma mai così traumatico come quello che vedremo nel successivo “Sleepaway Camp” (1983).
La formula di “Venerdì 13” piacque parecchio al pubblico e il film incassò quasi sessanta milioni di dollari in tutto il mondo, codificando definitivamente un (sotto)genere che già esisteva sotto svariate forme (non a caso già dai tempi di “Reazione A Catena” si può parlare di proto-slasher). Ecco perché alcuni ritengono questa pellicola fin troppo sopravvalutata all’interno di un discorso legato al cinema horror del periodo (di recente John Carpenter ha criticato aspramente l’operato di Cunningham), alla luce di una lunga e ingegnosa costruzione iconografica che supera il valore stesso di questo primo e comunque valido capitolo. Un film sicuramente molto suggestivo, a nostro avviso però inferiore al meno celebre “The Burning” (1981) di Tony Maylam, il miglior slasher di ambientazione lacustre mai realizzato. Con tutto il rispetto per un villain tra i più amati di sempre.
(Paolo Chemnitz)