Apocalypse Now

apocalypse-nowdi Francis Ford Coppola (Stati Uniti, 1979)

Poco più di un anno fa, Francis Ford Coppola ha presentato la final cut di “Apocalypse Now”, una versione definitiva di 183 minuti poi proiettata in piazza a Bologna nel giugno dello stesso anno (il 2019). Praticamente una via di mezzo tra la prima edizione (di 153 minuti) e quella denominata redux (202 minuti), quest’ultima proiettata in anteprima al Festival di Cannes nel 2001. Quale scegliere tra queste tre? Noi per questa breve retrospettiva ci siamo basati sull’edizione redux, perché in verità un film capolavoro vorremmo che non finisse mai. Battute a parte, se è logico che nelle altre due versioni la narrazione appare più snella, con “Apocalypse Now” redux possiamo approfondire al meglio alcuni aspetti della pellicola: prima di tutto quello temporale (da un ritaglio di giornale apprendiamo della morte di Sharon Tate, indi per cui la storia si può collocare durante l’estate del 1969), oltre a un’interessante riflessione sul colonialismo, rintracciabile nell’arrivo dell’equipaggio dei protagonisti in un avamposto francese in Cambogia, una lunga fase importante anche per comprendere le motivazioni che hanno convinto il colonnello Walter Kurtz a disertare le atrocità di quella guerra. Ovviamente nel film sono state integrate altre sequenze meno accattivanti, ma è innegabile che la versione redux sia capace di offrire ulteriori spunti di riflessione allo spettatore.
Sono tre i personaggi principali di questo monumento del cinema di guerra, ognuno dei quali occupa una fase peculiare dell’opera: William Duvall interpreta il colonnello Bill Kilgore, un individuo sopra le righe appassionato di surf che ruba letteralmente la scena nelle immagini più concitate del film, quando respiriamo a pieni polmoni la tensione e gli odori di questo Vietnam messo a ferro e fuoco. L’odore del napalm, soprattutto. Ma il protagonista che attraversa tutte le vicende dal principio alla fine è il capitano Benjamin Willard (Martin Sheen), una figura più sobria e umana capace di emergere con prepotenza con il trascorrere dei minuti, soprattutto nella parte centrale. Willard è stato incaricato di portare a termine una missione segreta, attraverso un viaggio nel cuore della giungla con destinazione Cambogia, dove si nasconde il dissidente Kurtz. Proprio il colonnello Walter Kurtz (Marlon Brando) è l’ultimo tassello che andiamo a scoprire, un individuo avvolto dal mistero (il suo volto emerge spesso dall’oscurità) che si riallaccia alla figura ipnotica e selvaggia del Kurtz che appare nel libro “Cuore Di Tenebra” di Joseph Conrad, l’opera che ha ispirato “Apocalypse Now”.
giphyQuesto racconto scritto nel 1899 ci porta nel cuore dell’Africa nera, in una foresta che sembra un vero e proprio girone infernale: partendo da questo presupposto, Francis Ford Coppola sposta le vicende in Asia mettendo in relazione queste operazioni militari con il succitato mood dantesco, per un viaggio allucinante rappresentato da questo fiume in cui sprofondiamo ansa dopo ansa. L’immensa fotografia di Vittorio Storaro (premiato con l’Oscar) dipinge alla perfezione tali sensazioni, un umore malsano che si può respirare nei colori giallo-arancio di un cielo che non trova mai pace. “Apocalypse Now” diventa dunque un film stratificato in cui convivono momenti di pura epicità (sottolineati dalla musica di Wagner) alternati con altri di morte e di totale rassegnazione, perché questa lotta tra bene e male in realtà non conosce vincitori, in quanto il confine tra questi due elementi è molto più labile di quanto si possa credere. Questo vale per la guerra ma soprattutto per i personaggi del film, perché il sicario Benjamin Willard è l’ennesima dimostrazione di come sia facilmente manipolabile dalle autorità questa vacua distinzione.
“Apocalypse Now” è uno di quei capolavori sui quali è stato scritto di tutto e di più, queste righe vogliono soltanto celebrare la sua influenza e la sua importanza attraverso una serie di pensieri scritti di getto dopo averlo finalmente visionato nella recente versione redux. Una volta terminato, vien voglia di ricominciare il film come se non ci fosse un domani, anche solo per riascoltare le poetiche e malinconiche note di “The End” dei Doors poste in apertura. Se non sono brividi questi.

5

(Paolo Chemnitz)

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