di Damiano D’Innocenzo e Fabio D’Innocenzo (Italia/Svizzera, 2020)
Finalmente possiamo dire che “La Terra Dell’Abbastanza” (2018) ha dato i suoi frutti, visto che “Favolacce” rappresenta il tanto atteso salto di qualità compiuto dai gemelli D’Innocenzo, artefici di un lavoro che si è aggiudicato l’Orso d’Argento nell’edizione 2020 del Festival di Berlino. Pur restando sempre ancorata alle drammatiche storie della periferia romana, questa pellicola prende (per fortuna) le distanze dall’ennesimo crime movie di borgata, focalizzandosi invece sul ventre marcio di un dramma familiare condiviso da più persone, in cui vige una netta separazione tra il mondo degli adulti e quello dei bambini.
Un impeccabile Elio Germano interpreta Bruno Placido, un padre rude e violento ma orgoglioso dei propri figli quando chiede ai ragazzi di leggere le pagelle durante una cena davanti a un’altra famiglia di amici. I primi sintomi di una competizione tra vicini fatta di invidie e di gelosie (la scena della piscina gonfiabile), mentre i piccoli assistono come inermi spettatori a questo stupido teatrino di bassa lega. La storia attraversa varie situazioni quotidiane facendole intrecciare tra loro, fino a raggiungere un punto di non ritorno in cui accade qualcosa di tragico: un destino inesorabile in cui a pagare le conseguenze sono soltanto i bambini, vittime designate del sadismo e della cattiveria dei loro genitori.
L’aspetto positivo che emerge immediatamente è quello legato alla regia, in quanto “Favolacce” predilige un’estetica molto fredda che sembra volerci persino allontanare dalle tipiche atmosfere dell’hinterland romano: non a caso Damiano e Fabio D’Innocenzo riescono a farci gelare il sangue grazie a una serie di inquadrature studiate ad hoc, come quella in campo lungo che immortala Bruno intento a far sputare un boccone di carne al figlio per non farlo soffocare. Immagini desolanti di una famiglia in cui i nervi prevalgono sulla ragione, scatenando pianti isterici e la più infame violenza psicologica. Questi adulti urlano e sbraitano di continuo, sono praticamente delle bestie, mentre al contrario tutti i giovani protagonisti (applausi per loro) li osserviamo rinchiusi in un silenzio mortifero, una sorta di rassegnazione che poi si rivela fatale nelle amarissime sequenze conclusive della pellicola.
Parlare di questi due registi come della next big thing del cinema italiano ci sembra comunque azzardato, in quanto “Favolacce” ha anche dei piccoli difetti sui quali non è possibile chiudere un occhio: prima di tutto, un plot abbastanza segmentato che vive troppo sull’accumulo di situazioni che sulla singola vicenda, mentre in secondo luogo non è difficile accorgersi dell’eccessiva somiglianza tra Bruno e Pietro, due genitori caratterizzati in maniera dozzinale e senza le dovute sfumature. Per i fratelli D’Innocenzo – di sicuro folgorati negli anni dalle opere dei vari Haneke, Solondz e Korine – ci sono ancora molti margini di miglioramento, ma al di là di questo, “Favolacce” si presenta come un durissimo dramma sociale degno di tutta la vostra attenzione. “Ma tu sei proprio sicura di voler avere un figlio?”
(Paolo Chemnitz)