A Good Woman Is Hard To Find

a good woman is hard to finddi Abner Pastoll (Gran Bretagna/Belgio, 2019)

Abner Pastoll è un regista britannico nato in Sud Africa nel 1982, qui al suo terzo lungometraggio. “A Good Woman Is Hard To Find” è una produzione tra Regno Unito e Belgio che prova a rinverdire i fasti del revenge thriller, un genere che necessita di una sceneggiatura perfetta per poter rendere al massimo. In questo caso lo script di Ronan Blaney – pur con qualche falla – fa il suo sporco dovere, consegnandoci novanta minuti abbondanti in cui le sorprese non mancano. Ma a trascinare l’intera storia c’è soprattutto l’attrice irlandese Sarah Bolger, impeccabile sia nel ruolo di mamma premurosa che in quello di spietata vendicatrice.
Ci troviamo in un quartiere difficile, dove attorno alle ordinate casette tipicamente british si muovono alcuni personaggi piuttosto controversi: uno di questi è Tito, uno spacciatore da quattro soldi costretto a nascondere della cocaina in un posto sicuro, dopo averla rubata agli scagnozzi di un potente boss locale. Il balordo riesce a trovare rifugio entrando a tradimento nell’appartamento di Sarah, una graziosa biondina con due figli piccoli e un terribile lutto da elaborare (il marito è stato ucciso con una pugnalata nel parco là vicino). Da questo momento il film si sviluppa sia seguendo le vicende di Tito e Sarah (obbligata con la forza a tenere la droga dentro casa), sia sul desiderio della ragazza di dare un nome all’assassino del marito, due strade che inesorabilmente si incrociano in un finale alquanto scoppiettante.
Con un titolo a dir poco azzeccato, “A Good Woman Is Hard To Find” è una parabola di ribellione femminista filtrata attraverso le regole del crime movie: in un mondo dominato dagli uomini (non a caso nel supermercato c’è un pedofilo, la cui figura è tutt’altro che superflua), la vita di Sarah e dei suoi bambini viene letteralmente schiacciata dall’ambiente circostante, dove chi comanda lo fa in maniera violenta e risoluta. La presa di coscienza della protagonista equivale anche a un cambio di personalità, perché quel volto acqua e sapone della prima parte dell’opera viene sapientemente alterato da un trucco aggressivo, metafora di una trasformazione necessaria per contrastare la lucida follia di quel gruppo di aguzzini. Nonostante le forzature del caso, questo mutamento può far tornare in mente il cult “L’Angelo Della Vendetta” (1981) di Abel Ferrara, inserito all’interno di un contesto generale che guarda anche al cinema di Nicolas Winding Refn.
Abner Pastoll ha ancora molta strada da percorrere, ma questa pellicola si dimostra comunque meritevole di visione, alla luce di una discreta rilettura di un genere che ha bisogno anche di queste piccole produzioni indipendenti per trovare la sua giusta dimensione. Promosso.

3,5

(Paolo Chemnitz)

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