Vive L’Amour

vive l'amourdi Tsai Ming-Liang (Taiwan, 1994)

Nel 1994 il Leone d’Oro della celebre rassegna veneziana viene assegnato ex aequo a due pellicole: “Prima Della Pioggia” del macedone Milcho Manchevski e “Vive L’Amour” del regista malese naturalizzato taiwanese Tsai Ming-Liang. La scelta di premiare quest’ultimo si rivela alquanto audace, alla luce del linguaggio estetico molto minimale del film, un prodotto amato ma allo stesso tempo anche criticato da una cerchia ristretta di appassionati.
Taipei, anni novanta: la telecamera segue tre personaggi la cui vita è destinata a intrecciarsi, tre fantasmi che si muovono all’interno di una metropoli fagocitante, alienante, destinata ad annullare l’individuo. May Lin è una donna sulla quarantina, lavora come agente immobiliare e utilizza un appartamento sfitto per incontrare fugacemente Ah-Jung, un venditore di merce abusiva. Hsiao-Kang riesce invece a penetrare nella stessa casa dopo aver rubato un mazzo di chiavi trovato nello stabile, un’occasione che gli permette di spiare in gran segreto la vita degli altri due personaggi. Un threesome destinato a scoprire le sue carte, pur rimanendo confinato in una deprimente passività capace di manifestarsi attraverso alcune scene controverse (le immagini con la masturbazione sotto al letto non si dimenticano facilmente).
Se Tsai Ming-Liang con il precedente e pregevole debutto “Rebels Of The Neon God” (1992) aveva gettato i semi di un cinema minimale capace di lavorare per sottrazione, con “Vive L’Amour” egli si apre definitivamente a questo approccio antinarrativo, in cui la sospensione degli eventi diventa il veicolo principale della loro stessa trasmissione. I dialoghi sono ridotti all’osso e il silenzio è spesso rotto dal sonoro, perché in “Vive L’Amour” i rumori sono più importanti delle parole. Così come un pianto, come quello mostrato per cinque minuti consecutivi in un piano sequenza che parla più di ogni altra cosa.
Il luogo attorno al quale ruotano queste tre solitudini non a caso è un appartamento vuoto, stanze che comunicano soltanto desolazione, mancanza di quotidianità e privazione. Anche quella vasca da bagno condivisa a rotazione dai tre protagonisti si riempie di acqua in cui poter affogare i propri dispiaceri: un cinema esistenzialista dunque, ricolmo di amarezza e di un sottile ma inestirpabile nichilismo. Con un occhio a Michelangelo Antonioni e un altro rivolto alla Nouvelle Vague taiwanese, Tsai Ming-Liang ricolloca il paesaggio urbano negli spazi angusti in cui si muovono i personaggi, interiorizzando il desiderio dell’altro in un percorso privo di comunicazione. “Vive L’Amour” è un film complesso e dunque ricco di concetti e di significati, l’ennesimo magnifico tassello di una carriera che raramente ha conosciuto momenti meno brillanti. Da prendere (tutto fino alla fine) o da lasciare (senza neppure pensarci troppo).

4,5

(Paolo Chemnitz)

vivelamourjpg

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