di George A. Romero (Stati Uniti, 1982)
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una notevole inflazione di film horror a episodi, opere spesso dirette da più registi e quindi non sempre capaci di seguire un filo logico (ed estetico) coerente. Oggi perciò ci siamo sentiti in dovere di ripescare dal cilindro un lavoro molto importante all’interno di questo filone, “Creepshow”, l’unione tra un grande regista (George A. Romero) e un grande scrittore (Stephen King, qui sceneggiatore). Un prodotto tipicamente 80s, impostato come se fosse un fumettone d’altri tempi e con tanto di omaggio esplicito alle pubblicazioni dell’EC Comics del secondo dopoguerra.
Durante il prologo, un bigotto padre di famiglia rimprovera severamente il figlio, proibendogli di leggere una raccolta di storie dell’orrore a fumetti (la rivista finisce immediatamente dentro la spazzatura). Il ragazzino però non dispera e magicamente, fuori dalla sua finestra, appare lo Zio Creepy, una figura spettrale che comincia a raccontare alcune storie al piccoletto. Da qui ha inizio il film, suddiviso in cinque capitoli tutti collegati tra loro attraverso questo espediente, cinque episodi non sempre all’altezza della situazione ma pur sempre calati in un contesto tanto macabro quanto dissacrante, complice quel black humour latente che ci permette di non prendere troppo sul serio gli accadimenti.
Se Father’s Day decolla solo nel brillante epilogo, The Lonesome Death of Jordy Verrill convince a più riprese, anche per via della presenza di un goffo Stephen King che interpreta il contadino protagonista. Molto bravo Leslie Nielsen nel ruolo di un crudele psicopatico in Something To Tide You Over (il frammento a nostro avviso più riuscito), mentre si trascina un po’ a fatica il successivo The Crate, con tanto di mostro che sbuca dall’interno di una cassa. Torniamo invece su ottimi livelli con l’ultimo segmento They’re Creeping Up On You!, in cui una moltitudine di schifosissimi scarafaggi la fanno da padrona.
Un film di questo tipo non può lasciare indifferente chi ha avuto la fortuna di poterselo godere all’epoca in tenera età, ecco perché “Creepshow” è entrato di diritto nella memoria storica di un cinema romantico e nostalgico, innocuo nella sostanza ma incredibilmente affascinante nella forma: l’esaltazione dei colori, le inquadrature studiate ad hoc come se stessimo sfogliando un fumetto, sono tante le prerogative che fanno di “Creepshow” un vero e proprio tributo alla (nostra) scoperta della paura, un motore che muove l’immaginazione come appunto le pagine di un fumetto. In questo caso, è più Romero ad andare incontro a King che viceversa, anche alla luce di un risultato finale narrativamente discontinuo e privo di quella materia concettuale tanto cara al regista americano (il pessimismo qui non è pervenuto), ma il punto è un altro, poiché in “Creepshow” emerge quella voglia di divertire e di divertirsi, giocando con l’ironia e con il volto più scanzonato dell’orrore. Rivisto da adulti, fa un effetto diverso, ma i bei ricordi comunque non si cancellano.
(Paolo Chemnitz)