di Claire Denis (Francia/Germania, 1990)
Se il cinema di Claire Denis non è affatto di facile comprensione, il motivo è anche da ricercare nel passato di questa regista parigina classe 1948, segnata sicuramente dalla sua lunga esperienza in Africa durante la sua fanciullezza. Oltre a questo, la Denis si è fatta le ossa accanto a cineasti del calibro di Jim Jarmusch e Wim Wenders, ulteriori influenze che le hanno permesso di forgiare il suo stile così personale, non sempre apprezzato da tutti: colpa di un’eccessiva masturbazione intellettuale, una prerogativa presente in alcune recenti pellicole ma non ancora nei lontani esordi della regista, come nel caso del grezzo “S’En Fout La Mort” (da noi “Al Diavolo La Morte”), il suo secondo lungometraggio.
Se nell’esordio “Chocolat” (1988) la riflessione sul colonialismo è il motore principale dell’opera, con il lavoro in esame dal continente nero ci spostiamo in Francia (i due protagonisti sono comunque di colore, uno dei quali proveniente dal Benin). Dah e Jocelyn sperano che il futuro sia dalla loro parte ed entrano a far parte di un giro illecito di scommesse clandestine incentrato sul combattimento tra galli (S’En Fout La Mort è proprio il nome di uno di questi animali, affibbiato dai nostri con una certa spavalderia). Le scene di lotta sono abbozzate e nei titoli di coda viene precisato che nessun esemplare è stato maltrattato per la realizzazione del film, ma quando assistiamo a queste immagini (tutte ambientate nel seminterrato di un ristorante) aumenta a dismisura quel senso di sgradevolezza già ricorrente nella pellicola. C’è anche un subplot melodrammatico non meno interessante, in quanto Jocelyn è impegnato in un triangolo amoroso con la fidanzata di Pierre, quest’ultimo ennesimo losco personaggio invischiato nella storia. In tal modo Claire Denis riesce anche a parlarci di rancore, di gelosia e di razzismo, tutti argomenti affrontati in maniera piuttosto diretta, senza pretendere nulla dallo spettatore.
Il vero aspetto simbolico presente in “Al Diavolo La Morte” è quello che riguarda i galli, ovvero noi uomini, una metafora forse banale ma assolutamente non pretenziosa, in quanto fin dal primo fotogramma conosciamo le intenzioni della regista: la frase dello scrittore afro-americano Chester Himes “ogni essere umano, di qualunque razza, paese, credo o ideologia, è capace di qualsiasi cosa” rappresenta un biglietto da visita chiaro e conciso, poiché Claire Denis conosce in profondità sia i francesi che gli africani e sa bene che il male appartiene a tutti, nessuno escluso.
“Al Diavolo La Morte” fu proiettato nel 1990 al Festival di Venezia, aggiudicandosi il premio per il miglior montaggio. Inoltre, meritano un plauso i due attori protagonisti (Isaach De Bankolé e Alex Descas), i cui personaggi sono ben caratterizzati, senza dimenticare l’azzeccata colonna sonora dove gli amanti di Bob Marley potranno esaltarsi con la celebre “Buffalo Soldier”. Un film da riscoprire, senza dubbio.
(Paolo Chemnitz)