di Galder Gaztelu-Urrutia (Spagna, 2019)
Sarà solo il tempo a decretarlo, ma siamo pronti a scommettere che “Il Buco” (“El Hoyo”) possa presto diventare un piccolo classico del cinema sci-fi. Non a caso, dopo il successo riscontrato al Festival di Toronto (dove l’opera è stata presentata in anteprima mondiale), Netflix ha subito fiutato le sue potenzialità, acquistandone i diritti in modo tale da poterla distribuire in esclusiva sulla sua piattaforma.
In questa pellicola il mondo esterno non viene mai mostrato, ma ci troviamo chiaramente in un futuro distopico: Goreng (Ivan Massagué), il protagonista, si risveglia all’interno di un carcere costruito in verticale su vari livelli, tutti collegati tra loro da un’apertura centrale. Ogni cella può ospitare al massimo due persone e più ci spostiamo in basso, più è dura sopravvivere, poiché il cibo viene somministrato ai tanti carcerati attraverso una grande tavola apparecchiata che scende giù lungo quell’abisso. Chi si trova in alto può usufruire di tante succulente portate, mentre chi è detenuto nei livelli inferiori deve accontentarsi dei putrescenti avanzi, un destino infame che a rotazione spetta a tutti i personaggi del film. Intorno a Goreng c’è solo egoismo, brutalità e cattiveria, il motivo per cui l’uomo a un certo punto prova a cambiare le scellerate regole di quel luogo.
“Il Buco” parte a razzo, i quaranta minuti iniziali sono di altissima fattura e ci tengono letteralmente incollati allo schermo, anche perché il rapporto tra Goreng e il suo primo compagno di cella Trimagasi diventa l’ossessione principale del protagonista, soprattutto quando vengono rimescolate le carte sul tavolo. Galder Gaztelu-Urrutia, al suo esordio dietro la mdp, non ci risparmia nulla, puntando su alcune scene a dir poco disgustose e su una notevole quantità di sangue, in fin dei conti non sarebbe possibile raccontare la degenerazione umana (cannibalismo incluso) con altre modalità. Ecco perché “Il Buco” è un prodotto estremo al cento per cento, rivoltante e pessimista quasi fino alla sua conclusione (l’epilogo è l’unico passaggio meno convincente, non tanto per il suo approccio ermetico quanto per il suo audace significato salvifico).
Il punto di riferimento principale della pellicola è sicuramente “Cube” (1997) di Vincenzo Natali (per via di una location claustrofobica divisa in scompartimenti simmetrici), ma non mancano neppure riferimenti sparsi al più recente “Snowpiercer” (2013), considerando la metafora sociale che accomuna “Il Buco” all’opera di Bong Joon-Ho: chi ha la possibilità di farlo, consuma avidamente e senza scrupoli, mentre i meno agiati devono accontentarsi delle briciole. O forse di qualcosa di peggio. Questo film si spinge quindi ben oltre le più rosee previsioni, mettendo la fantascienza distopica al servizio del thriller più ingegnoso e spietato. Netflix finalmente ha fatto centro, buon divertimento!
(Paolo Chemnitz)
Mi dispiace non sono daccordo, non ho notato nessuna originalità, non che un film debba essere per forza originale, ma non ho trovato neanche nessun elemento, inquadratura o dialogo che sia quanto meno interessante. Sul finale poi stendiamo un velo pietoso.Ho la sensazione, e non ho capito per quale motivo, che in tanti lo stiate sopravvalutando . Appena sufficiente. Lo Snowpiercer dei poveri.
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