di Greg McLean (Australia/Colombia, 2017)
Due film come “Wolf Creek” (2005) e il relativo sequel del 2013, stereotipi a parte, hanno lanciato il nome di Greg McLean consentendogli di lavorare anche con produzioni più importanti. Occasioni che però non hanno lasciato segni indelebili, soprattutto con “The Darkness” (2016) ma anche con il godibile ma non per questo eccelso “The Belko Experiment”, uscito sempre nello stesso anno. “Jungle” è invece il suo ultimo lungometraggio, una produzione tra Australia e Colombia che offre al regista l’opportunità di tornare a girare nelle migliori condizioni possibili, sfruttando a dovere gli spazi aperti e la bellezza di una location mozzafiato, esattamente come era accaduto per i due capitoli di “Wolf Creek”.
Dall’Australia più selvaggia stavolta ci trasferiamo nella giungla boliviana, seguendo le disavventure di Yossi Ghinsberg (Daniel Radcliffe in condizioni estreme se la cava discretamente), un uomo realmente esistito che nel libro “Lost In The Jungle” ha raccontato una storia ai limiti dell’incredibile: nel 1981 infatti, egli vagò da solo nella foresta amazzonica, dopo aver perso ogni contatto con i suoi compagni di viaggio e con una guida inesperta che li aveva condotti proprio lì, nel polmone verde del nostro pianeta. Una drammatica immersione nella mente e nel corpo del protagonista, messo duramente alla prova da questa terribile esperienza.
“Jungle” ha un problema di fondo: dura troppo (quasi due ore) per quello che in realtà tenta di comunicarci, anche perché il film ci mette davvero tanto per entrare nel vivo lasciandoci da soli con Yossi. Ciò che avviene in precedenza segue una sorta di preambolo in cui conosciamo gli altri personaggi (figure piuttosto deboli per l’economia dell’opera) e le prime avvisaglie di pericolo. Ma è pieno di passaggi superflui (i flashback e le varie allucinazioni lasciano il tempo che trovano, il faccia a faccia con la tartaruga è persino patetico) e fin da subito McLean sembra puntare sull’aspetto avventuroso dell’opera, cercando di accontentare una fetta maggiore di pubblico senza mai veramente affondare le unghie in un genere definito (“Jungle” non è certo un survival di matrice horror, nonostante un paio di scene molto riuscite tra cui quella dell’estrazione del verme dalla fronte).
La fotografia è ottima mentre la regia non offre guizzi degni di nota se escludiamo la sequenza delle rapide, il resto invece si rivela senza infamia e senza particolari lodi, con il rimpianto di un soggetto molto interessante sfruttato con poco slancio narrativo. Se bastasse solo una location fantastica per decretare la riuscita di un film, “Jungle” sarebbe stato magnifico. Purtroppo non funziona così.
(Paolo Chemnitz)