di Javier Aguirre (Spagna, 1973)
1971, 1972 e 1973, è questo il triennio in cui assistiamo al boom del cinema fantastico spagnolo. La censura era sempre più flebile (il regime si stava concentrando su nemici politici ben più pericolosi) e l’occasione di girare pellicole con budget limitato era diventata la prassi di molti registi. Tra gli attori, il re incontrastato del periodo è sicuramente Paul Naschy, capace di cambiare pelle da film a film in maniera alquanto eclettica e naturale: se ad esempio nel 1972 lo vediamo nei panni di un uomo lupo in “Doctor Jekyll Y El Hombre Lobo”, nel 1973 lo ritroviamo in un ruolo indimenticabile, quello del gobbo Gotho nel macabro melodramma horror “El Jorobado De La Morgue” (“Il Mostro Dell’Obitorio”).
Gotho è profondamente innamorato di una ragazza malata, le regala dei fiori ogni giorno coltivando un sentimento platonico verso di lei. Quando la giovane muore, la disperazione dell’uomo viene momentaneamente placata da un mad doctor che promette al gobbo Gotho di poter ridare vita alla sua amata, in cambio di qualche cadavere da utilizzare per scopi in verità raccapriccianti. Un inganno che si sviluppa all’interno di una bella location sotterranea, dove praticamente accade l’impossibile (la scena dei topi che assaltano il protagonista – ovviamente tutti veri e alcuni persino dati alle fiamme – non si scorda facilmente).
“Il Mostro Dell’Obitorio” è un film molto rozzo che mescola influenze di vario tipo per ovviare ai palesi limiti di sceneggiatura: la morbosità di un certo gotico di matrice 60s qui si sposa abbastanza bene con quella deriva legata a un immaginario più classico, ovvero quello che chiama in causa “Frankenstein” (1931) o il gobbo di “Notre Dame” (1939). Un cinema povero ma suggestivo, dove lo splatter abbonda pur nelle sue ingenuità realizzative (alcuni cadaveri si tagliano come il burro, neppure ci trovassimo in pasticceria!). Javier Aguirre è comunque consapevole di tutto ciò e non osa oltre il dovuto, lasciando scorrere in sottofondo una malsana sensazione di perversione e di soffusa necrofilia.
Tra le tante opere partorite dal cinema bis iberico di quegli anni, “Il Mostro Dell’Obitorio” possiede un quid che le permette di elevarsi un filo al di sopra della media generale. Un prodotto nero, poetico e assolutamente delirante.
(Paolo Chemnitz)