di Ingmar Bergman (Svezia, 1968)
La notizia della scomparsa di Max Von Sydow ci ha addolorato davvero tanto, ma nonostante ciò, possiamo dire che adesso il cinema di Ingmar Bergman si è cristallizzato per una seconda volta, diventando ancora più immortale rispetto al passato. Sono ben quattordici le pellicole in cui Von Sydow è stato diretto dal Maestro svedese e tra queste, oggi vogliamo ricordarne anche una considerata minore, “L’Ora Del Lupo” (“Vargtimmen”), un film che possiamo persino classificare come un horror (psicologico). L’opera nasce da un manoscritto a cui Bergman dedicò parecchio tempo, un resoconto che delinea alcuni importanti aspetti autobiografici e che ci permette di esplorare il lato più oscuro del regista.
“Il popolo la chiama l’ora del lupo, è l’ora in cui molta gente muore e molti bambini nascono, è quando gli incubi ci assalgono e se restiamo svegli… abbiamo paura”, è forse questa l’immagine più spettrale e profonda dell’intero lungometraggio, l’essenza di un orrore sia reale che onirico che confonde di continuo la nostra percezione. Il protagonista che sta vivendo questa situazione è Johan Borg (Von Sydow), un pittore isolato dal mondo su un piccolo isolotto assieme alla moglie Alma (una strepitosa Liv Ullmann). Le patologie che affiorano nella mente dell’uomo presto coinvolgono la sua amata, la quale scopre che alcuni personaggi ritratti dal marito esistono veramente (e sono dei soggetti mostruosi). Un incubo in bianco e nero che divora senza lasciare tracce visibili o risposte concrete, tra angoscia latente e un senso di criptico spaesamento.
Insonnia, ossessione, mistero, è complicato districarsi in una delle opere più intime e personali del regista svedese, non a caso Bergman apre e chiude la pellicola con una prefazione e una postfazione, un didascalismo necessario per penetrare a fondo nel cuore delle vicende. Tuttavia “L’Ora Del Lupo” rimane un film molto complesso, perché non basta una semplice visione per afferrare i traumi e le paure che affliggono Johan, l’alter ego dello stesso Bergman. Un percorso psicanalitico da cui non è esente neppure la moglie Alma, vittima suo malgrado di un ruolo che lentamente si identifica con quello del marito.
La regia è spaventosa, come nella scena della cena al castello, dove la mdp volteggia tra i vari personaggi come un corvo nero portatore di oscuri presagi, mentre la fotografia si assesta su livelli eccelsi, sottolineando a dovere la grottesca ambiguità di alcune sequenze (una delle quali fu censurata in Italia, ovvero quella della vecchia che si sfila la pelle cavandosi poi gli occhi dal volto). “L’Ora Del Lupo” si rivela dunque un prodotto altamente perturbante, intriso di sottili rimandi al cinema horror (un genere che Bergman apprezzava non poco) e di un livido erotismo ricco di deformate pulsioni interiori. Al di là di tutto, “L’Ora Del Lupo” rimane comunque un prodotto di seconda fascia all’interno della filmografia bergmaniana, non tanto per l’aspetto concettuale quanto per la comprensione stessa dell’opera, di fatto piuttosto difficoltosa. Per i grandi ammiratori del regista, un titolo come questo diventa un passaggio obbligato per sondare la psiche e le più intime emozioni di Bergman, al contrario invece dei neofiti, ai quali consigliamo di partire con altre sue opere ben più importanti.
(Paolo Chemnitz)
Adoor questo film. Insieme a Fanny e Alexander è una delle pellicole del regista a cui sono più legato.
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Un film affascinante, cupo,deprimente allucinante e allucinato, debitore dell’estetica espressionista. Però bisogna che nel mare magnum di capolavori bergmaniani,l’ora del lupo un po’ si perde. Il settimo sigillo, il posto delle fragole, il volto,la fontana della vergine, la trilogia sul silenzio di dio,persona,sussurri e grida, Fanny e alexander;sono questi i capolavori di bergman, l’ora del lupo arriva appena dopo.
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