di Lino Brocka (Filippine, 1975)
La storia del cinema filippino non può assolutamente fare a meno di Lino Brocka, regista pilastro del movimento nazionale scomparso prematuramente nel 1991 (Brocka fu vittima di un incidente stradale all’età di cinquantadue anni). Tuttavia la sua morte non ha scalfito l’importanza universale delle sue pellicole, opere che non hanno mai smesso di influenzare nuovi e vecchi cineasti dello stato asiatico, tra i quali è impossibile non menzionare Lav Diaz e Brillante Mendoza. Abbiamo scelto uno dei suoi film più duri e amari da buttare giù, “Maynila Sa Mga Kuko Ng Liwanag” (“Manila In The Claws Of Light”), un manifesto dell’epoca che già dal titolo ci mette in guardia dalle insidie di una grande città, una metropoli che attira per il facile guadagno ma che al momento opportuno tira fuori i suoi pericolosi artigli.
La giovane Ligaya (il suo cognome, non a caso, è Paraiso) abbandona la campagna per tuffarsi nella quotidianità della capitale, convinta dalle promesse di una misteriosa donna. Quando il suo fidanzato Júlio (un mite ragazzo che fa il pescatore) decide anch’egli di trasferirsi a Manila per cercare la sua amata, la realtà si rivela completamente diversa da quanto immaginato. L’uomo deve lavorare duramente in un cantiere edile (la prima mezzora del film è straordinaria) per una misera paga, sfidando la fortuna (un collega muore in circostanze orribili) e la disonestà dei superiori, mentre allo stesso tempo la giungla urbana in cui egli sopravvive si rivela in tutto il suo squallore, nonostante le onnipresenti e allettanti luci al neon che brillano nella notte.
Lino Brocka lascia scorrere le immagini affossando completamente le speranze dei protagonisti: soltanto per i bambini, ancora innocenti e inconsapevoli, il mondo non è poi così brutto, un passaggio chiave che si rigenera anche nei flashback nei quali il piccolo Júlio gioca con la bimba di cui un giorno si innamorerà. Una volta raggiunto il giro di boa, il lungometraggio (due ore complessive di durata) imbocca la strada del melodramma puro, come se stessimo assistendo a un romanzo popolare, in attesa di un epilogo a dir poco raggelante.
Sono molti i temi toccati da questa pellicola, perché “Manila – Negli Artigli Della Luce” ci parla anche di omosessualità, di prostituzione, di povertà e di sfruttamento dei lavoratori. Un affresco molto realistico che non tradisce mai il suo sguardo socio-antropologico, sincero e mai deformato. Questo di Lino Brocka rappresenta dunque il punto di partenza ideale per conoscere il cinema filippino moderno, un prodotto che ci consegna l’essenza più cupa di un paese che durante quel periodo stava vivendo gli anni più repressivi della dittatura Marcos.
(Paolo Chemnitz)