di Tinto Brass (Italia, 1969)
Prima di raggiungere la notorietà attraverso i suoi film più celebri degli anni settanta (sia “Salon Kitty” che “Io, Caligola” mettono in relazione sesso e potere in maniera alquanto spregiudicata), Tinto Brass aveva girato una serie di lavori dalle alterne fortune, tutti comunque contraddistinti da uno spirito profondamente anarchico e libero da compromessi. Oggi ci soffermiamo su “Nerosubianco”, il cui titolo in realtà andrebbe letto evidenziando la parola eros come vediamo sulla locandina. Il regista gioca con gli estremi, contrapponendo il bianco e il nero in termini razziali ma anche la frustrazione borghese con la rottura delle regole, un approccio intrigante venato da una forte sperimentazione che tanto piacque alla critica americana dell’epoca.
La trama è poca cosa, l’opera infatti non tocca neppure gli ottanta minuti ed è abbastanza frammentata: Barbara (la svedese Anita Sanders) è una ragazza italiana sessualmente repressa, in vacanza a Londra con il marito Paolo. La donna vaga per le strade della città e nel frattempo viene pedinata da un uomo di colore, mentre nella sua testa si avvicendano pensieri erotici e altre immagini dominate dalla violenza e dal caos. Cedere alle tentazioni di questo corteggiatore significa emanciparsi, una scelta con la quale il film trova anche la sua inevitabile quadratura del cerchio.
Sono due le peculiarità principali che rendono interessante la visione di “Nerosubianco”. La prima riguarda il montaggio (curato dallo stesso Brass) che si rivela a dir poco eccellente, la seconda invece è di carattere prettamente musicale in quanto tra questi fotogrammi scorre tanto rock psichedelico: merito dei Freedom, band inglese nata da una costola dei Procol Harum, qui alle prese con un sacco di brani estratti proprio dal loro debut album. L’immersione nelle atmosfere post sessantottine è dunque completa, dopotutto c’è anche spazio per alcune scenografie pop art e per una dura critica alla guerra (la presenza di qualche crudo filmato di repertorio può sembrare forzata ma permette alla pellicola di poter ampliare a dovere il suo spirito anticonformista).
Anita Sanders corre tutta nuda in nome di quella libertà sessuale che tanto stuzzicava il regista milanese, idee e concetti che Tinto Brass ha cercato di mutuare in un linguaggio estetico all’avanguardia, pur con dei limiti evidenti nella fruizione della storia (l’abbozzo narrativo è voluto, Brass è interessato ad altro). Durante lo stesso anno, Piero Schivazappa fece molto di meglio con il cult “Femina Ridens” (1969), nonostante “Nerosubianco” rappresenti comunque un altro tentativo sincero e coraggioso di raccontare un periodo così pregno di ribellione e di nuovi impulsi culturali.
(Paolo Chemnitz)