Madre

madredi Bong Joon-Ho (Corea del Sud, 2009)

Quello che ci auguriamo è che l’effetto “Parasite” (2019) permetta a molte persone di scoprire definitivamente questo grande regista coreano, capace fin dagli esordi di spaziare con disinvoltura tra diversi generi cinematografici. Oggi abbiamo deciso di dare spazio al suo film più intenso e disperato, “Madre”, un dramma camuffato da thriller capace di mostrare tutta la poetica di Bong Joon-Ho attraverso uno dei personaggi più riusciti visti nelle sue pellicole, quello di una mamma disposta a tutto pur di aiutare il proprio figlio.
Lei è una bravissima Kim Hye-Ja, lui invece è interpretato da Won Bin e si chiama Do-Joon, un ragazzo affetto da un lieve ritardo mentale. Entrambi vivono in un paese della Corea rurale, dove le giornate sembrano tutte uguali e non sembra mai accadere nulla di speciale: un giorno però viene ritrovato sopra un terrazzo il cadavere di una giovane adolescente, un caso che getta nello sconforto l’intero villaggio ma che la polizia risolve in maniera alquanto decisa, incolpando proprio l’ingenuo Do-Joon. Le prove non sono affatto schiaccianti, semplice però trovare un capro espiatorio impossibilitato a difendersi a dovere. Tuttavia l’amore di una mamma può spingersi oltre qualsiasi barriera, motivo per cui “Madre” presto si tramuta in un’indagine personale alla ricerca del vero colpevole.
Bong Joon-Ho questa volta punta tutto sui protagonisti e sulla loro caratterizzazione, portando all’esasperazione (quasi ai limiti dell’incestuoso) un rapporto unico, quello legato indissolubilmente da un cordone ombelicale in realtà mai spezzato. Ecco perché “Madre” è un film profondamente drammatico prima di essere un thriller, un’opera nella quale le emozioni contano maggiormente rispetto alle (rivel)azioni. Un approccio che si completa seguendo un moto circolare (l’immagine iniziale ritorna anche nella parte conclusiva), un po’ come era avvenuto nell’ormai celebre “Memories Of Murder” (2003), pellicola che ha più di un elemento in comune con questo lavoro.
La fotografia è scialba, i colori finiscono quasi soffocati dal grigiore in cui sono immersi i personaggi, dopotutto in “Madre” contano tanto anche le atmosfere, uno squallore che si può toccare con mano sia negli ambienti che negli esseri umani stessi (le scoperte della donna si rivelano molto più amare del previsto). Probabilmente siamo al cospetto del film meno commerciale di Bong Joon-Ho, anche per via di una storia più lenta e rarefatta, sta dunque alla vostra sensibilità scegliere di affrontare le due ore spaccate di questo lungometraggio, un titolo tra i più tormentati usciti in Corea al termine del decennio zero. Con questo prodotto il regista ci permette di cogliere sia gli aspetti morbosi che quelli universali del legame tra una mamma e un figlio, ecco perché possiamo trarre molti significati da questa pellicola, riflessioni eternamente sospese tra la poesia e il dolore che non devono per forza trovare una risposta compiuta.

4

(Paolo Chemnitz)

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